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mercoledì 9 settembre 2015

Turchia, la frammentazione della violenza

L’establishment turco dei tre maggiori partiti (Akp, Chp, Mhp) riconosce, quasi ammette, che la situazione del Paese gli stia sfuggendo di mano. Dagli episodi più gravi: attentati all’esercito (oltre 100 militari uccisi in neppure due mesi) e ritorsioni con bombardamenti aerei, dentro e fuori dai confini, sulle postazioni dei miliziani del Pkk con un numero di morti ben superiore, sino a quelli meno gravi ma non meno sanguinosi: assalti a sedi del partito Hdp (ne sono state contate 128) e giornali come l’Hürryet o quelli che scivolano nelle provocazioni individuali e di gruppo. Così simpatizzanti dei Lupi grigi sono usciti allo scoperto ad Adana assaltando l’ennesima sede del Partito democratico del popolo, mentre in precedenza avevano attaccato gruppi di turisti coreani scambiati per cinesi, per innata xenofobia. Nascono sedicenti ‘Cuori idealisti’ che desiderano mostrare alla gente “la reazione nazionale al terrorismo del Pkk”. Colpite anche abitazioni private in città grandi e piccole da Istanbul e Ankara a Mersin, Balgat, Antalya.
Proprio sull’Hürryet si legge la vicenda d’un kurdo della cittadina di Muğla che aveva postato sul profilo Facebook una sua foto con la divisa dei peshmerga, annotando come indossarla fosse un onore. Beh, l’uomo, individuato da alcuni militanti nazionalisti, è stato denudato, picchiato e costretto a baciare il mezzobusto di Atatürk esposto in una piazzetta con tanto di foto-ricordo punitiva. La polarizzazione o meglio la frammentazione caotica del Paese preoccupa, almeno per quel che mostrano i leader, la classe politica che, dopo aver discusso per mesi senza trovare accordi di governo, s’appresta ad affrontare fra quaranta giorni una tornata elettorale dai contorni incandescenti. Fra i molteplici fronti quello armato, riapertosi fra guerriglieri del Pkk ed esercito turco, è ovviamente il più sanguinoso e pericoloso perché reintroduce una guerra civile strisciante già vissuta a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta. Conflitto che produsse oltre 40.000 vittime, con pogrom e deportazioni forzate fra i kurdi.
La questione kurda continua a dividere i turchi che oscillano fra l’intransigenza paramilitare mostrata in varie epoche dai Lupi grigi, il peggior kemalismo centralista, razzista, ottuso che alberga soprattutto nel partito di Bahçeli ma anche in quello di Kılıçdaroğlu, il conservatorismo opportunista del modello islamico di Erdoğan che con la coriacea etnìa ha giocato la sua partita basata su continui ‘stop and go’, fatta di aperture, dialoghi e chiusure violente come l’attuale. Col secondo mandato di premier che consolidava il suo potere, il ‘sultano’ iniziò a offrire segnali di pacificazione alla comunità kurda sul fronte della gestione amministrativa dei territori, sebbene fra disponibilità teorica e pratica sia sempre esistito il baratro dell’impraticabilità di progetti per scarsità di finanziamenti. Una mancanza voluta. Fino alla nota apertura del tavolo dei colloqui col leader prigioniero Öcalan, fortemente osteggiato da una parte del partito repubblicano e da tutti i nazionalisti. Tali mosse che avevano catturato in alcune province orientali anche alcuni consensi elettorali fra i kurdi, hanno conosciuto lo stop alle elezioni dello scorso giugno.
Ora l’Erdoğan presidente non può attuare il sogno presidenzialista, perché il nuovo soggetto politico, l’Hdp, nato in area kurda e allargatosi anche agli elettori turchi democratici e di sinistra, gli carpisce ben ottanta deputati. E gli congela l’agognato ruolo di Capo dello Stato che incarna la Repubblica, diventandone tutore e signore. Tutto si rigioca il 1° novembre, ma con le strade infuocate di queste settimane i timori crescono. Ogni politico parla di evitare provocazioni, la realtà è che l’aria risulta comunque pesante anche grazie a quanto parole e azioni delle stesse massime autorità vanno seminando. Situazioni che non passano inosservate e vengono divulgate da agenzie e media, che comunque restano nel mirino repressivo di governo, magistratura e di quella piazza intollerante che potrà segnare le prossime settimane della vita politica turca.  

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