Esiste un’Europa della solidarietà? Sembra di sì,
nel moto generoso di singoli cittadini, associazioni, strutture religiose,
laiche e anche di certi partiti. Addirittura governanti di rango come la severa
Cancelliera tedesca, che qualche settimana addietro faceva spuntare le lacrime
a una ragazzina palestinese spiegandole i motivi d’un mancato ricongiungimento
familiare, brilla d’un ritrovato moto sentimentale verso le disperate
peregrinazioni dei profughi siriani. Ovviamente non è tutt’oro quel che
luccica, e le riflessioni critiche di diversi analisti non sospettabili di anti
europeismo, spiegano i risvolti di quest’apertura in ragioni strutturali d’un
mercato del lavoro che potrà contare su manodopera giovane, motivata e
disponibile a ogni sorta di sacrificio “a prescindere da tutto”. Del resto
questa partita la Germania, non di Angela ma di Helmut, la giocò un quarto di
secolo addietro, coi fratelli dell’est, e con le genti quelli dell’ex “cortina
di ferro”, immigrate e fatte oggetto di particolare attenzione.
Pur salvando poco credibili ragioni kantiane
oppure occulte sensibilità dell’anima Merkel, che il sud del vecchio
continente, con in testa la Grecia, non
ha finora conosciuto, sono svariati i temi ideologici con cui l’Europa può
(potrà-potrebbe) misurarsi, seppure si mostra inesorabilmente spaccata. Oltre
il magnifico “Inno alla gioia”, sulle
cui note i nostri cuori possono aprirsi, chiediamoci se esiste una popolazione
europea. Esiste secondo numeri e statistiche. Esisteva nella bella utopia dei
padri di Ventotene, che mai le leadership che quella strada dicono d’aver
percorso e stanno percorrendo, hanno cercato di applicare perché gli interessi
economico-monetari hanno fatto piazza pulita non solo dei sogni, ma degli
stessi bisogni. Allo stato delle cose esistono almeno tre tipologie d’Europa e
forse più, che si ritrovano parlandosi in tanti casi addosso a Bruxelles e
decidendo cose che nelle singole nazioni quasi mai piacciono.
Gli ideologi dell’Unione europea, prima che
dell’Europa, discettano sulle radici comuni culturali, che esistono certo, ma
con varianti spesso ricordate solo da storici e accademici riguardo a
mescolanze e contaminazioni con altri angoli del mondo. Le stesse fedi di
matrice cristiana, nelle sue chiese, costatano presenze, tendenze e interpretazioni che, attorno
all’attuale tema dell’accoglienza di milioni di persone in cerca di futuro,
rispondono aprendo le braccia o chiudendole. Le tre, o più, Europa si
continueranno a confrontare e scontrare attorno a totem antichi oggi riproposti
come simbolo per un domani che è solo passato. Il più noto è la Patria col suo
modello di stato nazionale. Sul quale l’Europa ha riempito le sue terre di
sangue, sia nelle fasi di conquista e sottomissione, sia per i moti di
liberazione che rigettavano l’oppressione. Del nazionalismo gli storici
insegnano il duplice volto, e oggi ci si divide fra chi ne rilancia un ruolo ancora
valido, seppur in tanti casi nostalgico di sciovinismo e xenofobia, come
mostrano i Paesi centroeuropei che invocano muri. E chi lo considera superato, proponendo
una società multiculturale e multirazziale, che però stenta a decollare secondo
criteri di reale parità ed eguaglianza.
Gli esempi, poco credibili, li propongono le
grandi nazioni d’Europa, che non hanno smesso d’essere tali anzi non si sono
emancipate dal morbo coloniale profuso a piene mani nell’Otto e Novecento, da
Londra come da Parigi. Un po’ come il pattern
statunitense (gli Imperi si somigliano) accolgono razze e religioni ma chiedono
la cieca adesione al proprio modello, cosa che certi accolti poco gradiscono, anche
alla terza generazione. Fra le tante leadership e i vari sistemi geopolitici
tuttora non si vede chi lavori a integrazioni paritarie e realmente
democratiche. E nel cuore di quell’Europa, che attualmente riscopre “valori di
purezza e chiusura” o fra le democrazie liberal falsamente integratrici, un
antico tentativo di convivenza fra etnìe non facilmente propensi alla pacifica
convivenza era la Jugoslavia titina. Sistema nato in una fase storica
particolare, vissuto fra contraddizioni, probabilmente imploso per una mancanza
di ricambio dell’establishment dopo la scomparsa del fondatore, ma tenacemente
attaccato dal politico della Germania unita e dal pontefice che sconfisse il
socialismo reale. Quanto i passi di Kohl e Woityla, eminenze grigie della disgregazione
dell’ex Jugoslavia, influenzano ancora gli artefici di un’Europa votata agli allargamenti
speculativi d’un progetto politico che fra diverse vie ha imboccato in assoluto
la peggiore?
Nessun commento:
Posta un commento