Sibel, i
sanguinosi eventi degli ultimi giorni mostrano un forte disagio nel Paese. Lo
strapotere del presidente-sultano vacilla?
Erdoğan vuole riconfermare a tutti i costi la
sua leadership ed è probabile che ci riesca con l’ennesimo successo elettorale.
Tuttavia i sondaggi indicano un Akp in calo. Inoltre c’è una spaccatura interna,
diversi deputati non approvano la linea presidenziale. Fra costoro due
fondatori del partito islamico: il vicepremier Bülent
Arinç che l’ha più volte criticato pubblicamente; e l’ex presidente
Abdullah Gül, figura ancora molto influente
nel Parlamento, che ha comunque deciso di non candidarsi alle elezioni del 7
giugno. Nelle presidenziali della scorsa estate Erdoğan aveva ottenuto il 51.9%
dei voti, mentre il candidato dell’Hdp e attuale co-presidente, Selahattin
Demirtas, raggiungeva un lusinghiero 9.7%.
Ora, la possibilità per l’Akp di replicare il consenso plebiscitario delle
ultime consultazioni si fa meno sicuro, il partito difficilmente riuscirà a
ottenere in Parlamento i 400 seggi necessari per trasformare in senso
presidenziale la Costituzione. Erdoğan è iroso perché non esercita più il
controllo assoluto d’un tempo. Effettivamente il suo trono vacilla e certe
crepe sono palesi.
Negli
ultimi attentati quant’è reale la teoria della provocazione governativa o all’inverso
del complotto anti erdoğaniano?
Il quadro è complicato: innanzitutto, è
necessario conoscere la storia del Fronte rivoluzionario di liberazione del
popolo (Dhkp-c il gruppo che ha compiuto il sequestro del procuratore Kiraz,
ndr). Quest’organizzazione, d’ispirazione marxista-leninista, è nata nel 1994
dalla spaccatura della Sinistra Rivoluzionaria, Dev Sol, e si è via via
caratterizzata con azioni spesso discutibili e sospette. I numerosi attacchi a
ufficiali e militari turchi e le varie proteste compiute hanno da sempre diviso
l’opinione pubblica. Un esempio: lo sciopero della fame nelle carceri turche, promosso nel 2000 da diversi gruppi di estrema sinistra (fra i quali il Dhkp-c)
per contestare le nuove misure di sicurezza, condusse alla morte decine di
detenuti. Un altro caso sospetto è stato l'uccisione di Bedri Yağan che era un importante figura del Dhkp-c. Dopo la sua scomparsa Karatas divenne leader del gruppo e da quel momento ogni cosa cambiò. Nel ’96 il preminente uomo d’affari Sakıp Sabanci, fratello di Özdemir, venne colpito a morte dal Dhkp-c. Prima del proprio assassinio Sakıp sosteneva che la questione kurda doveva essere risolta su un tavolo di trattative. L'omicidio tappò la bocca a chi pronunciava frasi ingombranti. Quest’attentato e altri di simile
natura hanno puntualmente indebolito i negoziati fra i kurdi e il governo. Il
tempismo del Dhkp-c nel compiere azioni armate lascia dubbi e sospetti, quasi si
volesse compromettere ogni tentativo di sciogliere il nodo kurdo. Personalmente
non condivido la pratica del Dhkp-c, valuto i loro agguati tutt’altro che
rivoluzionari. Certo, l’obiettivo annunciato è l’abbattimento del regime di
Erdoğan sostenuto da americani e Nato, ma ripeto: quelle azioni lasciano molti
punti interrogativi e appaiono piene di contraddizioni. Invece non penso che
dietro gli ultimi atti di Istanbul ci sia la mano dell’Akp.
I gruppi marxisti turchi persistono nella lotta armata, una
via che altre nazioni, ad esempio in Europa, hanno conosciuto negli anni
Settanta. E che non ha pagato
Da noi
l’epoca della lotta armata è conclusa. Tuttavia, dopo l’11 Settembre, gli
attacchi sporadici di gruppi legati alla guerriglia urbana hanno provocato
forti reazioni tra l’opinione pubblica. L’ideologia di queste organizzazioni
che, come il Fronte di liberazione del popolo, si definiscono rivoluzionarie è arcaica
e poco s’adatta alle dinamiche politiche attuali. Però non tutte le
organizzazioni che si richiamano al marxismo-leninismo sono uguali: il partito
Mlkp, anch’esso nella lista dei gruppi terroristici in Turchia, da oltre
trent’anni è riuscito a stringere legami col Pkk. Di recente molti dei suoi militanti
si sono arruolati nelle Unità di difesa del popolo a Kobanê. In generale le
organizzazioni di estrema sinistra non sono state in grado di leggere e analizzare
l’odierno contesto mediorientale, di comunicare in maniera efficace i propri
programmi e l’ideologia alla popolazione. L’incapacità di raggiungere e
coinvolgere il popolo turco - in difesa del quale dichiarano di agire - li ha
spinti verso una graduale marginalizzazione. Io penso che le armi siano
necessarie per l’auto-difesa, ma rappresentano un mezzo non il fine. Bisogna
coinvolgere la gente nella pratica politica quotidiana e non agire in sua vece.
In Turchia, qualunque piano politico per risultare efficace ed essere accettato
dal popolo dev’essere comunicato con efficacia. Partecipazione e comunicazione
sono gli elementi chiave della buona politica. In tal senso i gruppi cosiddetti
rivoluzionari hanno fallito.
Negli
ultimi anni il movimento kurdo ha spostato la tattica dallo scontro armato al
confronto elettorale. Come vedi le prossime politiche, l’Hdp toccherà una
percentuale a doppia cifra?
Mi auguro che l’Hdp riesca a raggiungere la
soglia del 10%. Il partito filo-kurdo sta riscuotendo sempre più consensi
sebbene l’Akp stia facendo di tutto per ostacolarne la presenza in Parlamento. Un
esempio: la stampa turca ha completamente manipolato il messaggio di Öcalan
dello scorso febbraio che presentava dieci condizioni che il governo turco deve
accettare per continuare i colloqui di pace. Fra queste c’è la creazione d’una
commissione di monitoraggio delle trattative stesse. I media hanno omesso l’esistenza
dei dieci punti e hanno annunciato la decisione del leader detenuto di deporre
le armi. L’Akp, da sempre contrario a questa commissione così come a una soluzione
della questione kurda, continua a ignorare le richieste di Öcalan.
Erdoğan
tiene molto a queste elezioni, il numero dei seggi gli serve per la mutazione
in senso presidenziale della Repubblica e spera in un aiuto dei deputati kurdi
Non so se avverranno accordi segreti, io non
credo all’ipotesi. Vedo due possibili scenari. Il primo: l’Hdp fa segnare il
10%, ottenendo altri 50-55 nuovi seggi che si aggiungerebbero agli attuali 27
scaturiti dalle candidature singole delle scorse elezioni. Quei 50 scranni
attualmente sono occupati dall’Akp. Ciò sottrarrebbe al governo i numeri per
proporre le modifiche costituzionali in senso presidenziale. Seconda ipotesi:
l’Hdp non supera il 10% e non consegue rappresentanza parlamentare. I suoi seggi
passerebbero quasi sicuramente all’Akp
che avrebbe, dunque, la possibilità di attuare riforme costituzionali. Fra
esse, il sistema presidenziale conferirebbe a Erdoğan ulteriore potere personale
e controllo politico. Questo complicherebbe non poco il processo di pace, e in
mancanza di soluzioni lo scontro fra governo e Pkk potrebbe riaccendersi.
Anche
Öcalan chiede un cambiamento della Carta costituzionale per conseguire alcuni
traguardi (riconoscimento delle minoranze, parità fra uomo e donna, autogoverno
dei cantoni kurdi, garanzie di libertà e diritti fra cui quello di stampa e
manifestazione) quale di questi potrebbe essere accolto?
Erdoğan non
accetterà nessuno dei dieci punti di Öcalan. Lui è un elemento pericoloso,
sta utilizzando i trattati di pace esclusivamente per rafforzare il proprio
potere, non ha alcun interesse a risolvere la questione kurda. Le sue
dichiarazioni cambiano repentinamente: un giorno dice di essere colui che
risolverà ogni contrasto, l’indomani dichiara che il problema kurdo non è mai
esistito, che la commissione di monitoraggio dei negoziati non sarà stabilita e
via blaterando. Vuole accreditarsi come lo statista che ha posto fine ai
combattimenti con la guerriglia kurda. Se dopo il 7 giugno le trattative di
pace non riprenderanno anche la mediazione di Öcalan varrà poco. Sarà il Pkk a
decidere se rilanciare il conflitto.
Non c’è possibilità che il sistema dell’Akp
consideri l’entourage politico kurdo un possibile alleato tattico?
Per
Erdoğan può giungere il momento di chiedere il sostegno dell’Hdp, se lo farà è probabile che non sarà una
richiesta diretta anche perché non è restìo a fare concessioni. Tuttavia il
vertice dell’Hdp non accetterà alleanze col partito-regime. Un simile passo non
sarebbe compreso dagli elettori e il gruppo perderebbe consensi, i suoi
princìpi democratici non gli consentono di decidere sulla testa della gente.
Inoltre la piattaforma dell’Hdp - che riunisce sindacati, movimenti e partiti
di sinistra in rappresentanza di diritti di minoranze religiose ed etniche, di
donne e delle nuove generazioni - non prevede aperture a un islamismo,
nazionalista e conservatore.
Quindi un’alleanza tattica con l’Akp è da
escludere?
Assolutamente
sì. Se l’Hdp non raggiungerà il 10% resterà fuori dal Parlamento. Nel caso in
cui riuscisse a superare quella soglia, potrebbe contare su circa 80 deputati.
Quale spazio avranno si vedrà.
Con chi potrebbe cercare sponda il partito
del presidente?
In
questi anni l’Akp s’è complicato la vita con la politica estera, i cui
risvolti, come dovunque, contano in politica interna. E l’ha complicata alla
nazione che ora nel contesto mediorientale si trova isolata. Agli occhi statunitensi
la leadership turca appare come il classico bambino viziato: vuole tutto, alle
sue condizioni e senza compromessi. Vuole decidere sul destino d’una regione
dove le criticità sono cresciute. Gli Usa cercano anche un’alternativa alla
conduzione dell’Akp. Sostituzione non semplice. L’unico partito di peso sono i
repubblicani del Chp, attualmente al 29%, i laici che il presidente vuole
mettere ai margini. Però non è escluso che con un proprio ridimensionamento
elettorale Erdoğan
non tenti un avvicinamento tattico.
Dopo la liberazione di Kobanê qual è il
futuro del Rojava nello scontro con lo Stato Islamico? I grandi del mondo,
occidentali e orientali, lo snobbano?
La
regione del Rojava ha bisogno di sostegno militare delle potenze straniere
democratiche. Kabanê è stata liberata, ma lo Stato Islamico non è sconfitto del
tutto, continua a ricevere aiuti da Turchia, Arabia Saudita, Qatar e dagli
Stati Uniti. In moltissimi villaggi attorno all’ex città assediata gli scontri
proseguono. Pkk, Ypg, Ypj e il popolo del Rojava possono incontrare nuovi attacchi.
Un ultimo questito: quant’è difficile
essere giornalisti nella Turchia di Erdoğan? Lo era altrettanto col kemalismo
di Ecevit o simili?
E’
difficile fare un paragone: vent’anni fa venivamo uccisi per la nostra
professione. Nel 1990 abbiamo perso 70 colleghi del nostro giornale, quel
governo ci aveva preso di mira. L’attuale ci arresta. Ovviamente è meglio che
essere uccisi. Magra consolazione, ma tant’è.
si ringrazia della collaborazione Gloria Geretto
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Sibel Güler è una giornalista kurda. Ha iniziato
giovanissima a collaborare con la testata Özgür Gündem, finita costantemente sotto attacco di vari governi. Nel periodo buio
del conflitto interno, compreso fra il 1990 e il 1998, settanta reporter di Özgür Gündem persero la vita in un attentato.
Per le continue pressioni subìte Güler dal 2006 si trasferisce a Londra,
rientrando in Turchia nel 2010. Nel 2011 viene arrestata assieme a 33 colleghi
perché sospettata di far parte del Pkk. Rimane reclusa per trenta mesi senza
capi d’imputazione, quindi è scarcerata. Continua a lavorare fra Londra e
Istanbul.
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