Libertà e
giustizia sono categorie tornate in disuso in Egitto. Non piacciono al sedicente neo
Nasser, generale Sisi, osannato dal sunnismo interno in linea con l’affarismo
saudita. Non piacciono all’Egitto che insegue l’Occidente e ovviamente ai Paesi
occidentali zelanti col disegno imperialista mai tramontato in Medioriente. A
un anno dalla strage della Moschea Rabaa, che ha fatto gli stessi morti di Gaza
pur senza raid aerei, a otto mesi dalla messa al bando del movimento della
Fratellanza Musulmana con l’arresto di circa ventimila suoi aderenti e
dell’intero gruppo dirigente, anche il partito denominato Libertà e Giustizia
viene sciolto d’autorità. Non potrà dunque partecipare alle elezioni parlamentari
che dovrebbero tenersi a fine anno. Ciò non impedisce a qualche militante
sfuggito alla durissima repressione di presentarsi come candidato autonomo, ma l’aria
tutt’altro che benevola verso gli ideali dell’Islam politico difficilmente creerà
soggetti disposti a immolarsi in Parlamento. Dopo aver sistemato la pratica
della presidenza, ottenuta a furor di popolo dall’ex generale che con l’ausilio
dei laici e della protesta Tamarod aveva spodestato Mohamed Mursi (tuttora imprigionato
e imputato in quattro processi per alto tradimento e incitazione alla violenza),
la parvenza di democrazia ha bisogno di ripristinare le due Camere.
Quella
Alta (Consiglio della Shura) venne sciolta nel luglio 2013 con
l’esautoramento di Mursi, la Bassa (Assemblea del Popolo) era stata cancellata
un anno prima per iniziativa del Consiglio Superiore delle Forze Armate, appena
dopo che l’esponente della Fratellanza aveva vinto il ballottaggio sul mubarakiano
Shafiq. Nelle due aule istituzionali il partito della Libertà e Giustizia aveva
piazzato una gran quantità di deputati ottenendo alle politiche del 2011-2012
il 47% dei consensi. Un inatteso exploit col quale aveva capitalizzato i mesi
di rivolta contro il vecchio raìs. La ribellione era stata inizialmente evitata
e poi abbracciata dai suoi militanti, sia dalla componente popolare e
apertamente rinnovatrice, sia dall’establishment che aveva compreso la
formidabile opportunità offerta da quella fase dopo sessant’anni di
emarginazione. La Confraternita faceva pesare la propria esperienza politica,
le sue prospettive ammaliavano le masse islamiche molto più dei partiti
tradizionali, compresi quelli d’una sinistra spuntata nelle idee e disgregata nell’organizzazione.
Tutto ciò è durato pochissimo, per il fiato corto d’un progetto chiuso in un
settarismo di fazione, e per i tanti nemici incontrati per via: i feloul del
vecchio regime, i liberali filoccidentali, gli stessi salafiti (i veri
oscurantisti, gelosi dell’iniziale successo di questa versione politica
dell’Islam). Ma soprattutto per il peso dell’eminenza grigioverde della
nazione: la lobby militare. Seguìta dalla magistratura.
I due
poteri forti
d’Egitto non sono mai stati privi delle leve di comando, come dimostrano i
citati blitz rivolti agli organi legislativi rinnovati dalle prime
consultazioni svolte con un’ampia base partecipativa e senza i ripetuti brogli,
e ora ripropongono un repulisti di avversari così da non avere intralci nel
piano di controllo sociale. Con un ripristino di quel terrore diffuso contro cui
s’era ribellata la prima piazza Tahrir, successivamente ammorbidita e mutata ai
voleri forti, osannati quali “difensori
del popolo”. La leadership della Brotherhood, pur avendo sempre negato pratiche
violente e considerando le componenti jihadiste che agiscono nel Sinai come
forze estranee al proprio progetto, non è riuscita a scrollarsi di dosso
l’accusa d’essere una frangia terrorista che attenta alla sicurezza nazionale e
come tale viene trattata dalle attuali leggi coercitive. A esse s’aggiunge la normativa
costituzionale che vieta riferimenti confessionali ai movimenti politici con
cui i giudici hanno messo fuorilegge movimento e partito. Seppure la battaglia
fra islamisti e loro avversari non sia definitivamente chiusa, la totale repressione
delle componenti moderate ha aperto da oltre un anno spazi ideali al reale fondamentalismo
che anche in Egitto incrementa simpatie e consensi.
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