E’ il regime che ti
tiene in galera
senza gettar via la chiave. Ti prolunga le sentenze da un mese e mezzo
all’altro. Ad libitum, come ben sa Patrick Zaky, monitorato e assistito da
familiari, amici, sostenitori anche internazionali. Ma intanto ti priva non
solo del libero arbitrio, arbitrariamente ti tiene in celle spoglie, umide,
sporche, sovraffollate. Fa in modo che qualche accidente ti capiti lì,
provocando finanche la morte per infezione di Covid o intestinale, per attacco
cardiaco privato d’interventi rapidi, per ossessione da tempo bloccato, che
conduce pure coriacei detenuti, come
l’attivista Alaa Adbel Fattah, a pensare e ripensare al futuro che non c’è e
voler farla finita. Se ti suicidi in cella, nessun carceriere dovrà rispondere
d’un gesto insensato appartenente solo a te detenuto che non sopporti la
punizione o l’attesa d’un pronunciamento della Corte. Il tutto fa parte del
sistema repressivo messo su dalla lobby militare la cui espressione più
funzionale ha il faccione bonario del feldmaresciallo Al-Sisi. Nei giorni in
cui un altro feldmaresciallo è passato, per via naturale, a miglior vita: Hussein
Tantawi, volto smunto che rimpiazzava quello funereo e criminale di Suleiman,
premier ad interim, dopo la cacciata di Mubarak, l’Egitto non vede differenze.
Stragisti con le stellette sostituiti da colleghi stragisti con altrettanti
fregi militari che sfregiavano la propria gente: ottocento le vittime della
rivolta di Tahrir repressa dalla coppia Mubarak-Suleiman; svariate centinaia
quelle schiacciate da Tantawi nei mesi seguenti (massacro del Maspero, dello
Stadio di Port Said, di Mohammed Mahmoud Street), fino alla madre di tutti gli
eccidi presieduta da Sisi in persona: la mattanza della moschea di Rabaa.
Duemila morti o giù di
lì, fatti
fuori in una notte e nella mattinata seguente, 13-14 agosto 2013, uno dopo
l’altro, sparati, schiacciati, sventrati per via. E’ il modello d’ordine che il
golpista Sisi, eletto presidente nei mesi successivi, stabiliva nel Paese. Da
lì l’escalation della pressione e della repressione con le migliaia
d’incarcerati, coi sequestri e le sparizioni che l’Occidente ha iniziato a
vedere solo nel 2016 con la vicenda di Giulio Regeni. Nonostante questo nessuna
nazione addita l’Egitto per quel che è: uno Stato d’intimidazione verso
attivisti, sindacalisti (quelli reali, non le spie dei mukhabarat) e poi giornalisti, avvocati dei diritti, familiari,
cittadini qualunque, atterriti dalla prospettiva d’essere trattati come i casi
che denunciano, come i congiunti e gli amici che difendono. Compreso il favore
di cui gode - grazie a un quadro geopolitico che ne esalta la disponibilità a
porsi accanto ai regnanti senza scrupoli sauditi ed emiratini, più i signori
della guerra libici, quale garante della reazione nel vicino Medio Oriente - la
lobby militare egiziana interpreta il ruolo dell’alleato di comodo cui si
perdona tutto. Anche perché accanto alla strategia securitaria della regione
ballano interessi finanziario-energetici coi giacimenti di gas nel Mediterraneo
di Levante, ripagati con appalti miliardari per servizi e armamenti. Così non
solo i cinici governi di Francia e Gran Bretagna, l’opportunismo tedesco, ma il tricolore tanto sbandierato e ingioiellato
nei mesi della foia sportiva, che sempre pacifica e ammanta d’oblìo ogni cosa,
resta ammainato sotto il peso del sangue di quel connazionale tanto nominato quanto
abbandonato, assieme al Diritto e alla Giustizia con le maiuscole.
Diversi governi nostrani hanno illuso la
famiglia Regeni, ma non muovono foglia, anzi lusingano un regime tiranno. Questo
subdolamente ha assunto un comportamento possibilista verso le migliaia di
prigionieri con cui riempie Minya, Wadi al-Natrun, Tora. Non li condanna, li
tiene a ‘bagno maria’. Ogni tanto li blandisce con una liberazione a tempo, per
poi riprenderli in custodia, se fanno i capricci li tortura un po’: botte, cavi
elettrici, acqua salata a gogò, testa i giù per giorni, per far capire loro che
non gli conviene fare i duri e puri. Ora la National
Security Agency fa circolare un quesito nelle celle. Dice: Cosa diresti se
uscissi? Quindi li carezza, gli prospetta di finire nella lista del perdono,
annunciato per i festeggiamenti nazionali delle Forze Armate del 6 Ottobre o in
quella dell’anniversario da nascita di Maometto che quest’anno ricorre il 18
dello stesso mese. Ovviamente le risposte dovranno essere compiacenti, del tipo:
le prigioni non sono lugubri, ci si può stare comodi, i detenuti rinnegheranno
d’aver a che fare con l’opposizione o d’appartenere al deprecato Islam
politico. Così il mondo potrà focalizzarsi sulla magnanimità del regime
militare egiziano. Aumentando il livello di ‘democraticità’ Sisi ha anche
annunciato che presto verranno adottate strutture circondariali in “stile
americano”. Magari potrà giustificare i brutali trattamenti coi cavi elettrici
nel più umano sistema di esecuzione, quello della ‘sedia’ che tuttora vede
alcuni States (Mississipi, Utah, Oklahoma) attivi e contenti.
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