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mercoledì 22 settembre 2021

Il carcere “umano” di Al-Sisi

E’ il regime che ti tiene in galera senza gettar via la chiave. Ti prolunga le sentenze da un mese e mezzo all’altro. Ad libitum, come ben sa Patrick Zaky, monitorato e assistito da familiari, amici, sostenitori anche internazionali. Ma intanto ti priva non solo del libero arbitrio, arbitrariamente ti tiene in celle spoglie, umide, sporche, sovraffollate. Fa in modo che qualche accidente ti capiti lì, provocando finanche la morte per infezione di Covid o intestinale, per attacco cardiaco privato d’interventi rapidi, per ossessione da tempo bloccato, che conduce pure coriacei detenuti,  come l’attivista Alaa Adbel Fattah, a pensare e ripensare al futuro che non c’è e voler farla finita. Se ti suicidi in cella, nessun carceriere dovrà rispondere d’un gesto insensato appartenente solo a te detenuto che non sopporti la punizione o l’attesa d’un pronunciamento della Corte. Il tutto fa parte del sistema repressivo messo su dalla lobby militare la cui espressione più funzionale ha il faccione bonario del feldmaresciallo Al-Sisi. Nei giorni in cui un altro feldmaresciallo è passato, per via naturale, a miglior vita: Hussein Tantawi, volto smunto che rimpiazzava quello funereo e criminale di Suleiman, premier ad interim, dopo la cacciata di Mubarak, l’Egitto non vede differenze. Stragisti con le stellette sostituiti da colleghi stragisti con altrettanti fregi militari che sfregiavano la propria gente: ottocento le vittime della rivolta di Tahrir repressa dalla coppia Mubarak-Suleiman; svariate centinaia quelle schiacciate da Tantawi nei mesi seguenti (massacro del Maspero, dello Stadio di Port Said, di Mohammed Mahmoud Street), fino alla madre di tutti gli eccidi presieduta da Sisi in persona: la mattanza della moschea di Rabaa. 

 

Duemila morti o giù di lì, fatti fuori in una notte e nella mattinata seguente, 13-14 agosto 2013, uno dopo l’altro, sparati, schiacciati, sventrati per via. E’ il modello d’ordine che il golpista Sisi, eletto presidente nei mesi successivi, stabiliva nel Paese. Da lì l’escalation della pressione e della repressione con le migliaia d’incarcerati, coi sequestri e le sparizioni che l’Occidente ha iniziato a vedere solo nel 2016 con la vicenda di Giulio Regeni. Nonostante questo nessuna nazione addita l’Egitto per quel che è: uno Stato d’intimidazione verso attivisti, sindacalisti (quelli reali, non le spie dei mukhabarat) e poi giornalisti, avvocati dei diritti, familiari, cittadini qualunque, atterriti dalla prospettiva d’essere trattati come i casi che denunciano, come i congiunti e gli amici che difendono. Compreso il favore di cui gode - grazie a un quadro geopolitico che ne esalta la disponibilità a porsi accanto ai regnanti senza scrupoli sauditi ed emiratini, più i signori della guerra libici, quale garante della reazione nel vicino Medio Oriente - la lobby militare egiziana interpreta il ruolo dell’alleato di comodo cui si perdona tutto. Anche perché accanto alla strategia securitaria della regione ballano interessi finanziario-energetici coi giacimenti di gas nel Mediterraneo di Levante, ripagati con appalti miliardari per servizi e armamenti. Così non solo i cinici governi di Francia e Gran Bretagna, l’opportunismo  tedesco, ma il tricolore tanto sbandierato e ingioiellato nei mesi della foia sportiva, che sempre pacifica e ammanta d’oblìo ogni cosa, resta ammainato sotto il peso del sangue di quel connazionale tanto nominato quanto abbandonato, assieme al Diritto e alla Giustizia con le maiuscole. 

 

Diversi governi nostrani hanno illuso la famiglia Regeni, ma non muovono foglia, anzi lusingano un regime tiranno. Questo subdolamente ha assunto un comportamento possibilista verso le migliaia di prigionieri con cui riempie Minya, Wadi al-Natrun, Tora. Non li condanna, li tiene a ‘bagno maria’. Ogni tanto li blandisce con una liberazione a tempo, per poi riprenderli in custodia, se fanno i capricci li tortura un po’: botte, cavi elettrici, acqua salata a gogò, testa i giù per giorni, per far capire loro che non gli conviene fare i duri e puri. Ora la National Security Agency fa circolare un quesito nelle celle. Dice: Cosa diresti se uscissi? Quindi li carezza, gli prospetta di finire nella lista del perdono, annunciato per i festeggiamenti nazionali delle Forze Armate del 6 Ottobre o in quella dell’anniversario da nascita di Maometto che quest’anno ricorre il 18 dello stesso mese. Ovviamente le risposte dovranno essere compiacenti, del tipo: le prigioni non sono lugubri, ci si può stare comodi, i detenuti rinnegheranno d’aver a che fare con l’opposizione o d’appartenere al deprecato Islam politico. Così il mondo potrà focalizzarsi sulla magnanimità del regime militare egiziano. Aumentando il livello di ‘democraticità’ Sisi ha anche annunciato che presto verranno adottate strutture circondariali in “stile americano”. Magari potrà giustificare i brutali trattamenti coi cavi elettrici nel più umano sistema di esecuzione, quello della ‘sedia’ che tuttora vede alcuni States (Mississipi, Utah, Oklahoma) attivi e contenti. 

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