Riprendono le proteste in Egitto attorno al tema degli
abbattimenti di milioni di metri cubi edificati nelle grandi città, dal Cairo ad
Alessandria, e in quelle periferie satelliti diventate esse stesse megalopoli.
Da mesi ruspe e tritolo sono utilizzati per smantellare edifici piccoli e
grandi; le operazioni sostenute dal presidente in persona come
riorganizzazione urbana che mette ordine al caos edilizio, creano una caotica
situazione a decine di migliaia di persone evacuate che non haano una chiara
destinazione. Sarebbe interessante sapere quante di queste costruzioni abusive
siano legate alle imprese appaltate dalle stesse Forze Armate, poichè una delle loro branche
economiche maggiori è connessa proprio all’edilizia pubblica e privata. Ma gli
affari lucrosi di generali ormai defunti o pensionati non costituiscono un
freno alla ‘moralizzazione’ urbanistica lanciata dal regime. Questi però non
disdegna, proprio nell’area archeologica di Giza, di progettare
l’attraversamento della zona delle Piramidi con delle autostrade, di
cui s’è parlato di recente. La reazione della cittadinanza, che vede sotto i
suoi occhi venir giù le brutte costruzioni in genere dell’epoca Mubarak, è
ampia. Viene contenuta dalla mobilitazione di decine di migliaia fra
poliziotti e militari, di volta in volta convogliati nei luoghi di
smantellamento. Le proteste s’allargano anche a più generali questioni di
carovita e difficoltà di sopravvivenza per la riduzione, nei mesi scorsi a
causa della pandemia da Sars Cov2, del micro commercio diffuso. Poi, come
ovunque nel mondo, il totale azzeramento del flusso turistico ha bloccato la
catena dell’indotto legato a quest’attività. E la crisi morde sul reddito di
tante famiglie.
Si sono riviste manifestazioni in strada e s’è rifatto
vivo anche l’uomo d’affari che parla dall’esilio, quel Mohamed Ali intervistato
un anno fa da importanti media e accusatore dei meccanismi di corruzione che
animano la lobby militare. In realtà aveva lanciato il sasso ma non mostrava
prove a sostegno delle sue tesi. Comunque, a chi gli faceva notare che simili accuse
perdevano di credibilità, rispondeva di non poterle procurare in patria poiché
rischiava di finire fra i sessantamila detenuti. Cosa probabile visto
l’onda lunga della repressione. Con la nuova sortita Ali si rivolge agli
oppositori interni e a quelli riparati all’estero perché collaborino contro il
regime. Fratelli musulmani, liberali, laici, senza partito a suo dire tutti
devono contribuire alla rivolta contro Sisi. Dai loro blog non oscurati, gli
attivisti rifugiati non sembrano dare importanza a questo signore, mentre il
sito web indipendente Mada Masr
conferma la notizia delle proteste di queste ore per le quali si registrano 150
arrestati, fra cui alcuni minori. Come al solito a costoro vengono contestate
azioni che mettono a repentaglio la sicurezza nazionale e virano verso il “terrorismo”.
Eppure dal suo esilio Ali insiste, invitando i concittadini a non rientrare in
casa, a tenere posizione nelle strade, sebbene reale sia il rischio che il centinaio di
fermi e arresti si possano trasformare nei 2.300 d’un anno fa. Chi
certamente non tornerà a casa sono gli abitanti degli edifici abbattuti. Forse loro
non hanno perso la speranza d’un cambiamento, ma per ora il tetto sì.
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