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sabato 26 settembre 2020

L’Egitto per strada


Riprendono le proteste in Egitto attorno al tema degli abbattimenti di milioni di metri cubi edificati nelle grandi città, dal Cairo ad Alessandria, e in quelle periferie satelliti diventate esse stesse megalopoli. Da mesi ruspe e tritolo sono utilizzati per smantellare edifici piccoli e grandi; le operazioni sostenute dal presidente in persona come riorganizzazione urbana che mette ordine al caos edilizio, creano una caotica situazione a decine di migliaia di persone evacuate che non haano una chiara destinazione. Sarebbe interessante sapere quante di queste costruzioni abusive siano legate alle imprese appaltate dalle stesse Forze Armate, poichè una delle loro branche economiche maggiori è connessa proprio all’edilizia pubblica e privata. Ma gli affari lucrosi di generali ormai defunti o pensionati non costituiscono un freno alla ‘moralizzazione’ urbanistica lanciata dal regime. Questi però non disdegna, proprio nell’area archeologica di Giza, di progettare l’attraversamento della zona delle Piramidi con delle autostrade, di cui s’è parlato di recente. La reazione della cittadinanza, che vede sotto i suoi occhi venir giù le brutte costruzioni in genere dell’epoca Mubarak, è ampia. Viene contenuta dalla mobilitazione di decine di migliaia fra poliziotti e militari, di volta in volta convogliati nei luoghi di smantellamento. Le proteste s’allargano anche a più generali questioni di carovita e difficoltà di sopravvivenza per la riduzione, nei mesi scorsi a causa della pandemia da Sars Cov2, del micro commercio diffuso. Poi, come ovunque nel mondo, il totale azzeramento del flusso turistico ha bloccato la catena dell’indotto legato a quest’attività. E la crisi morde sul reddito di tante famiglie.
Si sono riviste manifestazioni in strada e s’è rifatto vivo anche l’uomo d’affari che parla dall’esilio, quel Mohamed Ali intervistato un anno fa da importanti media e accusatore dei meccanismi di corruzione che animano la lobby militare. In realtà aveva lanciato il sasso ma non mostrava prove a sostegno delle sue tesi. Comunque, a chi gli faceva notare che simili accuse perdevano di credibilità, rispondeva di non poterle procurare in patria poiché rischiava di finire fra i sessantamila detenuti. Cosa probabile visto l’onda lunga della repressione. Con la nuova sortita Ali si rivolge agli oppositori interni e a quelli riparati all’estero perché collaborino contro il regime. Fratelli musulmani, liberali, laici, senza partito a suo dire tutti devono contribuire alla rivolta contro Sisi. Dai loro blog non oscurati, gli attivisti rifugiati non sembrano dare importanza a questo signore, mentre il sito web indipendente Mada Masr conferma la notizia delle proteste di queste ore per le quali si registrano 150 arrestati, fra cui alcuni minori. Come al solito a costoro vengono contestate azioni che mettono a repentaglio la sicurezza nazionale e virano verso il “terrorismo”. Eppure dal suo esilio Ali insiste, invitando i concittadini a non rientrare in casa, a tenere posizione nelle strade, sebbene reale sia il rischio che il centinaio di fermi e arresti si possano trasformare nei 2.300 d’un anno fa. Chi certamente non tornerà a casa sono gli abitanti degli edifici abbattuti. Forse loro non hanno perso la speranza d’un cambiamento, ma per ora il tetto sì. 


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