Nel riproporre la
sanguinolenta scia e forse la ripetuta morte (uno degli accoltellati davanti alla
sede parigina dell’emittente Premières
Lignes Televison, dove fino a cinque anni fa c'era anche la redazione di Charlie Hebdo, è in fin di vita) gli attentatori - vedremo se saranno definiti jihadisti, lupi
solitari, assassini consapevoli o assassini e basta - reiterano il gesto
carnefice e distruttivo drammaticamente introdotto in questi anni. Il tempo scorre,
l’idealizzato Stato Islamico, cui ‘macellai urbani’ come i fratelli Kouachi s’spiravano,
è svanito, invece non tramonta il delirio omicida che ispira il fondamentalismo.
Un fanatismo a 360° che ha avuto una versione per altre “fedi”, visto che bersagli
non sono stati solo inermi cittadini occidentali falciati dal piombo e dai camion,
sventrati da lame e machete. Lo sono diventati uomini e donne riuniti in moschea
(attentato in Québec, 2017), passanti davanti a una Sinagoga (tentativo di
assalto a Halle, 2019), giovani laici partecipanti a un campo estivo (strage di
Utoya, 2011) e purtroppo i caduti in decine di altri episodi. L’integralismo è un
asse portante di tendenze para politiche diffuse, difese e idealizzate da più
parti se si guarda a quel che accade non solo nelle madrase del wahhabismo e di
certe interpretazioni hanbalite dell’Islam. Viaggia sui tavoli della diplomazia
internazionale che riscopre i taliban, ammettendoli in governi futuri. Siede
sugli scranni di alcune petromonarchie carezzate dagli statisti occidentali,
Macron in testa, che in queste ore giustamente lanciano anatemi contro i
terroristi. Ma il terrore che, comunque, certa politica occidentale opportunista
e collusa alimenta su varie piazze mondiali è sempre dimenticato per via,
celato dietro interessi di parte, in un gioco infinito che diventa il giogo del
libero pensiero. Ispirandosi a esso, la quintessenza della comunicazione che da
millenni è la satira, propone percorsi e logiche anche davanti a chi per visioni
del mondo o al contrario chiusure,
oscurantismi, propri fanatismi non comprende, rigetta, anzi accusa di blasfemìa
concetti, frasi, disegni com’è accaduto alle vignette satiriche di Charlie Hebdo su Maometto. Quelle che
produssero un attentato a colpi di molotov nel novembre 2011 e successivamente
la vile e sanguinaria aggressione del gennaio 2015, con dodici vittime, dal
direttore Charbonnier a vari collaboratori e poliziotti e passanti. Le stesse
vignette che, riproposte poco più d’un mese fa, paiono diventate il pretesto per l’attuale
nuovo giro di follìa. Rappresentano esse una ventata di libertà o una ruota
libera che perde l’obiettivo primario di salvaguardarsi, finendo nel gorgo del
fanatismo della lama? La questione non è temere ritorsioni o pensare d’essere
meno salaci, bensì comprendere quanto altri punti di vista rendono sopportabile
taluna satira. Le critiche ai fumetti su Maometto e al modo di porli erano venute,
ben prima della criminale azione della coppia omicida di cinque anni fa, da
studiosi della cultura islamica. Non imam o fedelissimi, ma docenti che
consideravano eccessive quelle vignette perché irrispettose del Weltanschauung di quei fedeli. Cittadini
normali che vivono a Islamabad oppure a Londra. Insomma si mancava di buon
gusto. Detto da profondi conoscitori d’una certa società c’è da credere e
cambiare registro. Non per abbandonare il diritto di satira, ma per meglio
orientarlo. Che non vuol dire farsi suggerire su cosa ridere, ma magari far
ridere anche l’oggetto della battuta, affinché sia scherzo e non scherno.
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