Quindici anni, un colpevole, neppure così certo. E
non perché all’epoca fosse appena maggiorenne, ma perché Salim Jamil Ayyash
membro di Hezbollah, non può aver compiuto da solo l’attentato di San Valentino
che fece saltare in aria sulle Corniche beirutine il premier Rafiq Hariri, l’ex
ministro Fleihan, gli uomini della scorta e chi, per sua sfortuna, transitava
nei pressi dell’hotel St. George. Eppure il Tribunale Internazionale dell’Aja
decide che Ayyash è l’unico colpevole, gli altri indiziati (Hassan Mehri,
Hussein Oneissi, Assad Sabra, come lui membri del Partito di Dio) non possono
essere condannati, nonostante gli indizi lasciati dai loro telefoni cellulari
che segnalavano una morbosa attenzione sugli spostamenti del primo ministro. E’
vero che quel Tribunale può giudicare le persone non i complotti politici e le
trame internazionali, ma la condanna d’un singolo posto come capro espiatorio
in un attentato eclatante, che a detta di tutti i politologi è un intrigo a più
mani, risulta quantomeno limitante. Così tutto resta in sospeso nel Paese che
da tempo si riserva una realtà solo parzialmente ammantata di misteri, poiché
quel che accade nella sua vita sociale, finanziaria, politica, istituzionale, militare
e paramilitare è assolutamente palese, ma volutamente è letto come indefinito o
indefinibile.
Questo perché il domani può diventare peggiore del presente e
gli stessi richiami che si danno i partiti sul futuro, messo nelle loro sigle,
è una maschera a una realtà che un simile approdo può solo sognarlo. Così se il
terribile attentato ad Hariri padre ha comunque definito un passaggio del
Libano che viveva ancora nel 2005 lo spettro dell’occupazione straniera (in
quel caso delle truppe di Asad ritiratesi ai primi di marzo dalla valle della
Beqaa), i famelici fantasmi dei potenti vicini si ripresentarono sedici mesi
dopo, coi bombardamenti dell’aviazione israeliana e gli scarponi di Tsahal
nuovamente sul suolo patrio. E’ la contraddizione che vive il piccolo paese
levantino, schiacciato da ingerenze straniere, sia quelle indesiderate, sia
quelle ricercate sotto forma di aiuti. E la rinascita della nazione intrapresa
dalla politica liberista di Rafiq Hariri a suon di petrodollari sauditi -
fronte sunnita di un’emancipazione senza sviluppo, cui sorrideva anche un pezzo
della comunità maronita (la più conservatrice continua a farsi carezzare dal
colonialismo di ritorno francese) e gli ondivaghi drusi - non è riuscita a
risollevare le sorti della gente. I prosecutori del progetto di Hariri, si sono
persi per via per incapacità, subordinazione, vizi e beghe personali e di clan,
mostrando tutti i limiti di un’economia improduttiva, basata su servizi, bolle edilizie
e balle di benessere vendute a risparmiatori poi rapinati dalle banche dove
passano diversi affari delle petromonarchie.
L’altro Libano, quello controllato dalla lunga mano iraniana
attraverso il discusso Partito di Dio, dopo aver conseguito successi militari
contro l’invasione israeliana del 2006 e aver venduto il ruolo patriottico
della propria militanza, è stato gradualmente risucchiato dalla sudditanza alle
strategie geopolitiche di Teheran, a sua volta rese difficili dall’aria in
Medio Oriente, dai soffocamenti dell’embargo statunitense, dalle “primavere”
trasformatesi in “inverni” per le necessità di popolazioni locali che hanno
ripreso a soffrire, per le guerre civili e jihadiste, come in Siria, per le
repressioni come in Egitto e Turchia. Il piccolo Libano, oppresso dalle
abiezioni d’una classe dirigente autoreferenziale e mafiosa, un po’ su tutti i
fronti confessionali, colpe mostrate come l’unica via per rendere possibile una
stentata sopravvivenza, si ritrova a portare in groppa quel che altri decidono
debba accadere in quella terra. Si tratti di milioni di persone lì destinate
non solo per questioni di confine, o d’inette gestioni di spazi destinati a
stipare problemi, denaro (che la gente non vede), nitrato di ammonio la cui
presenza ha deflagrato sulle carni di uomini e donne che, quando sopravvivono,
possono solo apprendere ciò che gli è accaduto attorno. Deflgrazione dopo
deflagrazione, pirica, finanziaria, giudiziaria. Senza poter decide nulla. Il
Paese sospeso continua a essere appeso a un filo, quello del solito denaro estero.
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