In un reportage svolto a Kabul, Luc Mathieu, inviato del
giornale Liberation, raccoglie
testimonianze e dichiarazioni di ufficiali dei Servizi per spiegare l’atroce
attentato all’ospedale “Cento letti” dell’Ong Médecins sans frontières dello scorso 12 maggio. Una carneficina
risultata a lungo inspiegabile pur davanti al cinismo dei maggiori indiziati:
jihadisti del Khorasan e talebani. Ventiquattro vittime, fra cui madri,
neonati, partorienti, ostetriche. Nessuno aveva rivendicato il folle gesto, i
taliban accusati direttamente dal presidente Ghani, smentivano sdegnosamente,
sostenevano: “Non attacchiamo maternità e
funerali”. Dei tre attentatori visti penetrare solo uno era stato ritrovato
morto, crivellato dai colpi degli uomini della National Directorate of Security,
e dei cecchini dei reparti speciali della Nato, accorsi anch’essi a reprimere
un assalto durato oltre cinque ore, poiché il commando s’era barricato
all’interno della struttura. Invece degli altri due partecipanti all’azione non
s’è saputo più nulla. Dalle ricostruzioni dei presenti raccolte dal quotidiano
parigino, gli assalitori vestivano
divise della polizia, mentre il loro compare indossava il tipico shalwar kamiz, “di colore blu” ricorda con certezza chi è rimasto fortunatamente illeso.
Accanto alle notizie sul commando: l’attacco, che ha
avuto luogo in una fase difficile per il Daesh afghano, colpito nel mese
precedente dall’arresto del leader Aslam Ferooqi, e sugli aiuti interni:
logistico dalla Rete di Haqqani, un nucleo talebano dissidente sin dall’epoca
del fondatore Jalaluddin, protettivo del gruppo Lashkar-e Taiba (l’Esercito dei
giusti) di stanza a Kunar che è l’ala militare del pakistano Markaz al-Dawa
Wal, c’è un’altra importante scoperta nell’inchiesta giornalistica. L’infame
assalto all’ospedale del quartiere di Dasht-e Barchi, area povera della
capitale abitata prevalentemente dalla comunità hazara, sarebbe avvenuto per
vendetta. Per rispondere a un’operazione antiterroristica contro cellule dello
Stato Islamico compiuta dalle forze della sicurezza afghana nella provincia di
Kabul a inizio maggio. Nell’occasione due donne incinte legate a qualche
miliziano erano rimaste uccise, da lì la scelta di seguire la via più orrenda: applicare
la legge del taglione. Il racconto degli scampati, rifugiatisi in reparti
dotati di porte blindate, percorre momenti di dolore per quanto hanno visto e
perduto fra affetti e amicizie. Parte delle rivelazioni provengano
dall’Intelligence afghana, dunque potrebbero risultare interessate, ma la fondatezza
della ricostruzione è stata verificata anche col contributo di analisti che
studiano il fenomeno del Daesh e anche per costoro la crudele ipotesi risulta
ammissibile.
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