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mercoledì 19 agosto 2020

Kabul, una vendetta dietro la strage degli innocenti


In un reportage svolto a Kabul, Luc Mathieu, inviato del giornale Liberation, raccoglie testimonianze e dichiarazioni di ufficiali dei Servizi per spiegare l’atroce attentato all’ospedale “Cento letti” dell’Ong Médecins sans frontières dello scorso 12 maggio. Una carneficina risultata a lungo inspiegabile pur davanti al cinismo dei maggiori indiziati: jihadisti del Khorasan e talebani. Ventiquattro vittime, fra cui madri, neonati, partorienti, ostetriche. Nessuno aveva rivendicato il folle gesto, i taliban accusati direttamente dal presidente Ghani, smentivano sdegnosamente, sostenevano: “Non attacchiamo maternità e funerali”. Dei tre attentatori visti penetrare solo uno era stato ritrovato morto, crivellato dai colpi degli uomini della National Directorate of Security, e dei cecchini dei reparti speciali della Nato, accorsi anch’essi a reprimere un assalto durato oltre cinque ore, poiché il commando s’era barricato all’interno della struttura. Invece degli altri due partecipanti all’azione non s’è saputo più nulla. Dalle ricostruzioni dei presenti raccolte dal quotidiano parigino, gli  assalitori vestivano divise della polizia, mentre il loro compare indossava il tipico shalwar kamiz, “di colore blu” ricorda con certezza chi è rimasto fortunatamente illeso.
Accanto alle notizie sul commando: l’attacco, che ha avuto luogo in una fase difficile per il Daesh afghano, colpito nel mese precedente dall’arresto del leader Aslam Ferooqi, e sugli aiuti interni: logistico dalla Rete di Haqqani, un nucleo talebano dissidente sin dall’epoca del fondatore Jalaluddin, protettivo del gruppo Lashkar-e Taiba (l’Esercito dei giusti) di stanza a Kunar che è l’ala militare del pakistano Markaz al-Dawa Wal, c’è un’altra importante scoperta nell’inchiesta giornalistica. L’infame assalto all’ospedale del quartiere di Dasht-e Barchi, area povera della capitale abitata prevalentemente dalla comunità hazara, sarebbe avvenuto per vendetta. Per rispondere a un’operazione antiterroristica contro cellule dello Stato Islamico compiuta dalle forze della sicurezza afghana nella provincia di Kabul a inizio maggio. Nell’occasione due donne incinte legate a qualche miliziano erano rimaste uccise, da lì la scelta di seguire la via più orrenda: applicare la legge del taglione. Il racconto degli scampati, rifugiatisi in reparti dotati di porte blindate, percorre momenti di dolore per quanto hanno visto e perduto fra affetti e amicizie. Parte delle rivelazioni provengano dall’Intelligence afghana, dunque potrebbero risultare interessate, ma la fondatezza della ricostruzione è stata verificata anche col contributo di analisti che studiano il fenomeno del Daesh e anche per costoro la crudele ipotesi risulta ammissibile.  

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