Il sourplace del rilascio dei detenuti talebani si scioglie in uno
sprint. Il presidente Ghani, da acceso oppositore dell’accordo sottoscritto in
febbraio a Doha fra le delegazioni statunitense e dei rappresentanti della
Shura di Quetta per rilasciare cinquemila prigionieri, è diventato nei mesi seguenti
un mediatore. L’ha fatto per rientrare nel giro che conta, che l’aveva
riproposto come capo d’uno Stato esistente sulla carta più che sul territorio,
per poi escluderlo dalle trattative su come amministrare l’area dell’Hindukush
sfinito da quarant’anni di guerra. L’ultimo atto dei colloqui inter afghani ha
visto Ghani convocare nella scorsa settimana la Loya Jirga e far passare, col
benestare di capi tribali e notabili, la decisione di rilasciare gli ultimi
quattrocento reclusi della lista talebana. Nella parata gli ha fatto eco il
nemico-compare Abdullah Abdullah, insignito mesi addietro della carica di capo
dell’Alto Consiglio per la conciliazione nazionale, dopo che aveva minacciato
azioni contro il Ghani vincitore, a suo dire truffaldino, nelle elezioni dello
scorso settembre. La coppia di eterni rivali che dal 2014, minacciando
contrasti, si spartisce i fondi degli aiuti internazionali, dice d’esser pronta
a dialogare con quei talebani che finora non ha voluto incontrarli. Però negli
ultimi tempi anche gli studenti coranici hanno cambiato registro, si mostrano
flessibili perché sanno di poter guadagnare tanto. Dunque nei prossimi giorni
Doha potrà vedere il faccia a faccia fra i nemici di lungo corso: quel che
resta dei Signori della guerra governativi sponsorizzati dagli statunitensi e
quel che conta della galassia talebana, benedetta sempre da Washington. Come
tutti sanno il passo della “riconciliazione” è frutto delle politiche del
Pentagono che, con o senza Trump, vuole stabilire nuove regole sul controllo di
quei territori. E dopo il ventennio di fallimenti dell’Enduring freedom, dell’Isaf
mission, del Resolute support ha
deciso d’imbarcare i talebani nelle prossime giunte.
A quale prezzo l’ha scritto su un cartello esposto
nel corso del dibattito nella Loya Jirga la senatrice di Farah Belquis Roshan,
da anni in prima linea per sostenere i diritti delle donne e delle popolazioni
più umili. “Riscattare i taliban è un tradimento nazionale” diceva quel
cartello, esposto mentre Ghani interveniva nell’assemblea e seguito da una
serie di domande che l’attivista politica poneva al presidente. Lui non
rispondeva e subito dopo, com’era accaduto in altre circostanze, Roshan era
accompagnata fuori dall’assise dal personale della sicurezza. La contestazione
della senatrice ha un ampio carattere politico, ma nello specifico quest’ultime
scarcerazioni, barattate dal governo con la copertura della Loya Jirga,
riguardano individui che poco hanno a che fare con la sfera militare dei
turbanti, e coinvolgono soggetti implicati in azioni criminali contro cittadini
afghani per ragioni di traffico di stupefacenti, violenze private verso donne e
uomini, seppure col benestare talebano. Comunque Doha ospiterà un’ennesima
seduta di trattative, la richiesta della cricca di Kabul è che i liberati non
tornino sui campi di battaglia, quella degli uomini della Shura di Quetta è che
valori islamici, ruolo dei capi religiosi siano garantiti nelle Istituzioni. E
alla fine tutti si riempiono la bocca di “democrazia” per l’Afghanistan da
ricostruire.
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