E’ andata via in punta di piedi, non dicendo nulla del
dolore personale. Cristina Cattafesta sapeva fare suo l’altrui dolore,
occupandosi dei problemi piccoli e grandi degli oppressi che aveva incrociato
in alcuni angoli del mondo, ma era una donna schiva, non amava apparire. Una
donna speciale, come ce ne sono molte, però lei al femminismo, alla militanza,
all’attivismo internazionale riusciva ad aggiungere realismo e umanità, ironia
e disincanto, coraggio e serietà in un impegno lontano dai riflettori. Anche
per le tante notizie che forniva, sgradevoli al mainstream. E’
stata fondatrice e animatrice del Cisda, Coordinamento Italiano Sostegno Donne
Afghane, una ong piccola e tosta financheggiatrice di quelle donne che
quotidianamente rischiano la vita, si tratti delle note Malalai Joya, Selay
Ghaffar, Samia Walid e delle migliaia di attiviste Rawa sconosciute per ragioni
d’incolumità, ma determinatissime nei sentimenti politici e amorevoli per il
proprio genere in una terra martoriata. Alle compagne con cui ha lavorato per
anni su progetti magnifici - finanziamenti per orfanotrofi, scuole d’istruzione
primaria e professionale, case rifugio per donne abusate, minuti ma utilissimi
ospedali, allevamenti di capre e coltivazioni di zafferano in terra d’oppio -
Cristina infondeva stimoli e consigli con quell’argenteo afflato che lo stesso
attivismo sembra aver smarrito. Usando un metodo indispensabile perché quei
sogni diventassero realtà: creare un lavoro collettivo. Fuori da gerarchie e
ruoli da primattrici che scavano solchi egoistici anziché riunire le forze per
raggiungere uno scopo. Cristina aveva il dono dell’ascolto e lo divulgava alle
colleghe che la circondavano e a quanti, oltre il genere, si ritrovavano a
collaborare con un’associazione tutta femminista. Così il Cisda è cresciuto
felicemente e proficuamente, ha realizzato cose concrete nell’ostico territorio
dell’Hindukush, ha creato legami lunghi migliaia di chilometri, ha portato
nelle città dove le attiviste italiane lavorano le testimonianze e la presenza
delle compagne afghane. Negli ultimi anni il cuore del Cisda si è aperto anche
alla questione kurda con delegazioni in loco finché sono state praticabili di
fronte alla crescente repressione turca. Due anni or sono, durante una di
queste, Cristina aveva provato sulla pelle la galera del regime di Ankara,
fermata e poi arrestata mentre svolgeva la funzione di osservatrice in un
seggio elettorale. Momenti concitati e difficoltosi, fortunatamente superati
con l’intervento della diplomazia nazionale, momenti da cui lei aveva trovato ulteriore
impulso e rinnovato impegno interno e internazionale. In questo struggente
giorno di lutto, il pregevole lascito del suo percorso d’una vita piena e
altruista è illuminato da una ferrea forza d’animo racchiusa nel suo solare
sorriso. Un sorriso impossibile da dimenticare.
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