Più realista dell’accordo firmato a Doha il generale
afghano, ormai in pensione, Abdul Jalil Bakhtawar, un tempo persecutore di
talebani nella provincia di Farah, s’è fatto fotografare con ghirlande
al collo, un bel turbante colorato assieme ai turbanti neri e gente che
sventola bandiere dell’Emirato Islamico. Uno dei siti web della propaganda
fondamentalista mostra entusiasticamente lo scatto come un trofeo. Dimessa, ma
propagandistica, anche la replica proveniente dal ministero dell’Interno
afghano. Dice: “Ci rammarichiamo che il
generale in pensione si sia unito ai nemici della pace e della stabilità e
abbia scelto la violenza rispetto alla vita e alla dignità” facendo
intendere che i governi di Kabul scelgano quest’ultima strada agli antipodi dei
taliban. Una discrasia rispetto ai passi compiuti negli ultimi diciotto mesi dai
protettori statunitensi che una pacificazione, tutta da verificare, l’hanno
cercata dialogando con gli ex nemici. In tal senso l’ex generale è più realista
dei sovrani firmatari, quelli di Washington e di Quetta, che fra l’altro
escludevano Ghani, disconoscendogli spessore e potere.
Non è noto perché Bakhtawar si sia lanciato nel
clamoroso gesto. Temeva, forse, fuori dai ranghi di poter diventare un
bersaglio di quella guerriglia che tanto aveva combattuto e che aveva cercato
di ucciderlo in vari modi? Ha, però, creato una voragine coi parenti stretti.
In sintonia con lui i figli erano coinvolti nella politica filogovernativa, uno
come deputato, un secondo come amministratore locale. E quando quest’ultimo
morì in un incidente d’elicottero i miliziani che controllavano la zona
oltraggiarono il cadavere tenendolo in ostaggio per alcuni giorni. Ma il
passato familiare e di conflitto coi talebani sembra lavato da un gran colpo di
spugna. Un po’ come i diciassette anni di guerra americano-afghana contro i
combattenti islamici. Il figlio-deputato cerca d’uscire dall’imbarazzo
sostenendo che la notizia è usata da opportunisti che puntano a mettere
indirettamente in difficoltà il governo. E che non occorre mescolare attuali
iniziative personali paterne coi ruoli del passato. Infatti sembra che il genitore
stesse intraprendendo un’azione di conciliazione fra tribù rivali nelle cui
dinamiche intervenivano anche i talebani della zona.
Ma si vocifera che per anni il generale unisse a
operazioni militari antiguerriglia anche operazioni affaristiche creando
milizie personali per sopperire alle carenze governative. Come fosse un Signore
della guerra. Poi dev’essere accaduto qualcosa ai suoi rapporti col Gotha
statale. Alle votazioni del 2018 si presentava come deputato nella provincia di
Farah, pareva aver conseguito l’elezione, tranne poi venir dichiarato perdente
dai “risultati ufficiali”. Da tempo il generale si sentiva abbandonato dai
vertici militari e politici e anche prima di lasciare l’incarico per
sopraggiunti limiti d’età, si trovava coi suoi gruppi tribali paramilitari di
Farah a volte a sostenere la linea governativa, in altre circostanze prendeva posizioni
pro taliban. Ben prima della foto-ricordo. E’ il lato celato della cosiddetta
“democratizzazione” del Paese. Un modello considerato fallito dagli stessi
vertici di Washington che rimettono in gioco i talebani, magari disponibili a
consentire, a fronte d’un ritiro delle truppe di terra, la conservazione di
alcune basi aeree strategiche per il controllo del Grande Medio Oriente. L’ex generale Bakhtawar,
nel suo piccolo è in linea col nuovo quadro. Possiamo pensarlo impegnato in
affarucci personali (droga? armi?) come accade da decenni a tanti, col
benestare di tutti.
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