Camminavano in venti su una ferrovia, da Jalna a Bhusawal
nello Stato indiano del Maharashtra. Centoquindici milioni di abitanti, la
terza entità amministrativa della nazione-continente col capoluogo Mumbai, metropoli
di 12 milioni di cittadini e impero di Bollywood. Erano rimasti senza lavoro, e
senza salario, per la chiusura dell’acciaieria dov’erano occupati. Avevano
percorso 36 chilometri a piedi, seguendo la strada ferrata che li avrebbe
portati verso nord col tragitto più breve. Stremati s’erano accucciati a bere,
riposare e, forse dormire, quando improvvisamente alle cinque del mattino un
treno merci è piombato alle loro spalle. Loro sapevano che nessun mezzo sarebbe
transitato durante il blocco dei trasporti. Il conducente ha tirato il freno,
ma il treno ha continuato a scivolare sulla lingua ferrosa per decine e decine
di metri. Solo quattro hanno avuto prontezza e forza di saltare oltre i binari.
Di altri quattordici la polizia, accorsa sul posto dopo il disastro, ha trovato
corpi straziati e poveri abiti imbrattati di sangue. Altri due martoriati, con
ferite gravissime, sono deceduti in ospedale. E’ l’altra faccia del Covid-19,
la morte per fame, o quella per incredibili incidenti ricercando un qualsiasi
lavoro che dia a famiglie numerose qualche risorsa per sopravvivere.
Il giorno precedente un altro incidente aveva ucciso undici
dipendenti d’una fabbrica di materie plastiche per fuoriuscita di stirene (un
idrocarburo) da una valvola d’un serbatoio. L’impianto della LG Group, multinazionale
sud coreana, aveva appena ripreso la
produzione, ora nuovamente sospesa per l’intossicazione di centinaia di
addetti. In questi giorni di graduale ripresa, dopo sei settimane di chiusura
di importanti attività industriali, le notizie di tragici incidenti si
rincorrono. Saranno state allentate le misure di sicurezza per “recuperare” il
tempo perduto oppure si riparte con superficialità, magari affidando a nuove
maestranze operazioni che richiedono adeguata preparazione, comunque c’è
pressappochismo. Un profondo scombussolamento l’aveva prodotto l’inadeguato
approccio governativo alla pandemia. Dopo un’iniziale vaghezza l’Esecutivo Modi
ha imposto severi blocchi agli ingressi nel Paese e agli stessi spostamenti
interni. Così un’infinità di migranti internazionali e nazionali si sono
affrettati a rientrare e ammassati per raggiungere le località d’origine. Quindi
si sono verificati comportamenti scorretti, come quello della Confraternita islamica
Tablighi Jamaat di New Delhi, che ha creato un focolaio infettivo nella
capitale. Da lì le accuse discriminatrici verso i fedeli musulmani in genere,
limitate dal governo per l’ennesima volta in ritardo e senza la dovuta severità
nei confronti del dilagante estremismo hindu.
Ciò che macroscopicamente l’India sta vedendo nelle due ultime
settimane è una marea umana disperatamente alla ricerca di cibo, verso cui
l’intervento di sostegno statale risulta inadeguato, e neppure l’apporto
caritatevole di comunità religiose riesce a offrire un aiuto completo. Una nota
governativa di queste ore afferma come il premier sia angosciato per la sequela
di tragici incidenti. L’opposizione gli punta il dito contro. Sostiene che
l’angoscia la vive un popolo stremato dall’assenza di provvedimenti adeguati e di
prospettive. Mentre i sindacati denunciano quegli incidenti frutto di mancanza
di verifiche nella fase di blocco della produzione. E’ il caso del serbatoio
della fabbrica LG dove l’idrocarburo aveva accumulato vapori tossici senza che
né la proprietà né autorità preposte si fossero preoccupate a effettuare verifiche.
I classici buchi d’una linea economica legata al mero profitto senza tutele per
i lavoratori e senza che il governo difenda la comunità da quelli che vengono
catalogati come “disastri”. La frenesia del quotidiano e dei bisogni ha ripreso
la sua corsa folle, dopo il confinamento nelle case. Una parte della
popolazione l’isolamento non l’ha vissuto semplicemente perché priva
dell’abitazione, ma i media indiani hanno ripreso a ricordare, fra i vari tipi
d’incidente anche quelli automobilistici. Gli indiani stanno morendo più in
fabbrica e fuori, fra asfalto e strade ferrate, che per infezione di Covid-19.
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