Il prezzo del carburante iraniano è fra i più bassi del
mondo, ma l’aumento deciso dal governo, guidato dal presidente riformista
Rohani, sta infiammando gli animi e le strade. In molte città, compresa la
capitale, da venerdì pomeriggio giovani, e non solo, hanno bloccato il
traffico, acceso copertoni, gridato slogan contro il potere. Si sono anche
scontrati con la polizia e ci sarebbero alcune vittime. Per ora l’agenzia
interna Isna cita un morto a Sirjan, nel Kerman (centro-sud del Paese) ed era
già noto il decesso d’un poliziotto, colpito durante un attacco a un
commissariato. Dai social, che venerdì e sabato mattina avevano diffuso
immagini e video degli scontri, non s’apprende di più nulla dopo il blocco
imposto dal sistema di sicurezza informatica. Insomma la benzina da qualche
giorno costa 15.000 rials, non impressionino gli zeri poiché l’inflazione
monetaria è altissima a causa dell’antico embargo sul nucleare, quello in
vigore dai tempi della presidenza di Amadinejad che neppure l’accordo fra
Rohani e Obama era riuscito a cancellare.
In occasione del secondo mandato presidenziale per il chierico
riformista nel 2017, si sperava che la situazione delle transazioni finanziarie
internazionali che penalizzano fortemente l’economia iraniana, potesse
normalizzarsi, ma la salita alla Casa Bianca del presidente dei dazi e dello
scontro muscolare non ha giovato alle speranze di Teheran. Anzi. Ora quel
governo per sostenere, a suo dire, la condizione dei ceti più poveri (che sono
aumentati per un’economia in fortissima frenata) ha pensato di aumentare il
costo d’un genere di consumo diffusissimo per trasporti e vita quotidiana (gli
idrocarburi). L’incremento, che farebbe sorridere i consumatori di tante
nazioni (sei centesimi di dollaro), diventa esplosivo in Iran. Infatti
l’attuale corrispettivo dei 15.000 rials, tredici centesimi di dollaro,
comporta pur sempre un aggravio del 50% del prezzo finale. Da qui le proteste
generalizzate che s’inseriscono in un contesto di diffuso malcontento e in pregresse
contestazioni avvenute proprio nel tardo autunno di due anni or sono.
Sebbene all’epoca sembrarono pilotate dal chierico conservatore Raisi, il concorrente di Rohani alla
massima carica politica (Guida Suprema a parte) sconfitto nelle elezioni del
maggio. Proprio Ali Kamenei, riunendo ieri chierici e commentando gli
avvenimenti di queste ore, ha puntato il dito contro i ‘sabotatori’ esterni ed
interni, definendoli banditi. Il discorso, trasmesso dalla tivù di Stato, ha
cercato d’imbonire la popolazione spiegando che gli esperti di finanze ed
energie prendevano questa decisione che consentirà di raccogliere annualmente
2.5 miliardi di dollari da destinare ai settori popolari maggiormente
bisognosi. Però diversi strati della popolazione,
già da tempo critici verso le copiose spese militari imposte dalla geopolitica
della nazione impegnata nel confronto-scontro con la monarchia saudita,
dovranno fare i conti anche col pesante taglio di approvvigionamenti di
carburante passati da 300 a 60 litri mensili. E i tafferugli di strada, che per
ora la cittadinanza moderata osserva senza partecipare, assieme a tutto il
contorno di un’emergenza economica cronicizzata potrebbero avere un peso per il
futuro.
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