A cinque giorni dalla pluririmandata scadenza elettorale per le
presidenziali afghane c’è un candidato che sicuramente prega Allah perché si
giunga al voto. E’ il presidente uscente Ashraf Ghani, il fantoccio
statunitense osteggiato da taliban e dagli altri candidati, compreso l'amico-nemico
di governo Abdullah. Gli attentati che fino a una settimana fa hanno cercato di
riproporre un ennesimo rinvio per ragioni di sicurezza non ne hanno piegato la
convinzione, ma più che saldezza democratica
l’ostinazione con cui Ghani resta attaccato a quest’elezione riguarda il
suo futuro. Infatti è da tempo il grande escluso dalla vita politica nazionale,
un paradosso per chi riveste la carica più alta d’un Paese, pur disastrato
com’è l’Afghanistan. Ma si tratta d’un
Paese che non esiste. Continua soltanto a essere un luogo di morte per la guerra
strisciante fra gli occupanti della Nato e i talebani che rivendicano il ruolo
di resistenti all’invasore. Nell’anno in
cui i contendenti statunitensi e i turbanti di Quetta si sono ripetutamente
incontrati per discorrere del futuro prossimo, Ghani è rimasto fuori dalla
porta, considerato indesiderato e indegno dalla delegazione della Shura, senza
che gli americani obiettasse nulla. Per questo il ‘presidente senza potere’ si
spende da tempo per il ritorno alle urne, senz’altro previsto come scadenza, ma
in un sistema completamente svilito.
Allora l’uomo che si sente solo cerca l’unica sponda
possibile, quella offerta dagli altri candidati che, non fosse altro perché
desiderano prendere il suo posto, s’apprestano al confronto dell’urna pur denunciando
quel che appare palese: il voto potrebbe essere inficiato dagli atavici brogli.
Nessuno però evidenzia un’altra realtà: questo voto risulterà assolutamente parziale. Poiché i seggi
elettorali sono presenti sulla metà del territorio (l’altra metà è
impraticabile in quanto controllata dai talebani) e anche le urne aperte e vigilate
militarmente potranno essere oggetto di agguati, com’è già accaduto in precedenti
circostanze. Dunque, le presenze certe nel 28 settembre che s’approssima sono
il terrore generalizzato e i taliban. Quest’ultimi estranei alla competizione
elettorale, ma incombenti nel clima creato dalle loro stragi e, di sorpresa in
sorpresa, non è detto che il
trasformismo che comunque aleggia su quello scenario in futuro non possa accettarli anche nella
veste di concorrenti. Finora gli studenti coranici l’hanno rifiutata. Essi conoscono la
propria forza e la debolezza altrui e una parte celata dei colloqui, poi
interrotti da Trump, riguardava un loro possibile ritorno legale al potere. Però
i turbanti vogliono scegliersi i ‘compagni di merende’ e mostravano di non
gradirne nessuno fra quelli all’orizzonte. Del resto basta ascoltare le
dichiarazioni degli anti Ghani per intuirne, nonostante le critiche rivoltegli,
un comune denominatore.
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