La seconda settimana di protesta anti regime fa più male
della prima. Così il generalissimo,
ormai con più estimatori all’estero che in patria, fa arrestare alla vigilia
dell’odierno venerdì di mobilitazione circa duemila concittadini, compreso
qualche oppositore noto fra quelli che periodicamente sono costretti a fare i
pendolari attraverso carceri. L’ultimo vessato è un noto docente di scienze
politiche dell’Università del Cairo, Hassan Nafaa, che aveva dichiarato “Non ho dubbi che la continuazione del potere
di Sisi ci condurrà al disastro. Nell’interesse dell’Egitto la sua partenza è
auspicabile il prima possibile”. Per aver detto questo già mercoledì scorso
il professore è finito a far compagnìa in cella a gente come il portavoce
dell’ex capo dell’esercito Sami Anan. Quest’ultimo, poi, è a una sorta di
arresti domiciliari dal gennaio 2018 quando pensò di sfidare il presidente
nella carica dello Capo di Stato. La rielezione col pieno di consensi,
superiori al 97% (ma con un’affluenza dichiarata del 41%, secondo parecchi
analisti oscillante fra il 25% e il 30%) è stato l’ultimo atto d’amore di quel
pezzo d’Egitto che si schierava a favore del colpo di mano anti Fratellanza
Musulmana. Oggi anche una parte della non numerosa della classe media inizia a
non credere alle due parole d’ordine che hanno rappresentato il fulcro del suo
programma: sicurezza nazionale contro il terrorismo (che in alcune zone come il
Sinai, ma anella stessa capitale quando vuole, continua a colpire le Forze
Armate) e rilancio economico.
Fatta eccezione per il partenariato con l’italiana Eni
sullo sfruttamento del giacimento di gas Zohr che può rendere l’Egitto l’hub
mediterraneo del metano, per il turismo, negli ultimi tempi in ripresa anche in
base agli occhi chiusi della Comunità internazionale sull’eccezionalità
repressiva presente nel Paese arabo, e per le grandi opere pubbliche (il
secondo Canale di Suez e la mega capitale a sessanta chilometri dal Cairo) la
situazione economica non avvantaggia i ceti subalterni interni. Anzi. Rispetto
alla deprecata era Mubarak è stato ristretto quel minimo di ‘stato sociale’ in
natura rappresentato dai sussidi per idrocarburi e generi alimentari di prima
necessità offerti agli strati più umili. In crescita – in verità non solo in
Egitto – sono gli opposti: ricchi e poveri. E nelle ultime settimane a far
montare la disillusione su Sisi, si son messe anche le denunce sui social media
offerte da un appaltatore dell’esercito, tal Mohamed Ali (non si risenta la
memoria dell’omonimo campionissimo di boxe degli anni Sessanta e Settanta).
L’attuale Ali è un ex compare di Sisi e del suo apparato, un fornitore di
materiale edile che per tutto un periodo s’è arricchito con commesse per le
Forze Armate, ovviamente pagando tangenti. Quando il giochino s’è rotto e fra
l’imprenditore e il governo si son creati attriti lui è volato in Spagna e da
lì spara veleno contro il presidente. Ma come ha affermato un noto oppositore
del movimento “6 Aprile” più volte arrestato, la crescita del malcontento non è
certo orientata dall’affarista un tempo amico e oggi nemico di Sisi.
Questo soggetto cerca di cavalcare le proteste. Magari i
suoi interventi battenti ne ampliano l’eco, eppure l’opposizione oppressa con
arresti, torture, sparizioni acquisisce nuovo coraggio per esporsi e sicuramente
subirà danni e ulteriori incrudimenti della coercizione. Ma forse vacillanti cominciano
a essere le certezze del generale che vede come il progetto d’intimorire la
popolazione con assassini e rapimenti non riesce, comunque, ad azzerare il
dissenso. E questo nonostante il controllo capillare dei mezzi d’informazione e
il bavaglio posto ai social. Quella metà del Paese vicina all’Islam della
Brotherhood, silenziata da sei anni, continua a esistere pur senza manifestare,
le crepe all’unanimismo di facciata compaiono e il volto scuro del generale
golpista all’Assemblea dell’Onu fa il paio con quanto ha dichiarato circa le
“forze del male” che affliggono l’Egitto. Un anatema dettato dalla sua paura. Ipotesi
neppure tanto peregrina è che fra le stellette cairote si stia valutando se da
qui in avanti l’ingombrante figura presidenziale implicata in tanti buchi neri
della nazione, comprese le accuse di ruberie per sé e la consorte rivolte dal
businessman Ali, diventino un peso di troppo per la lobby militare. Perciò, a
garanzia del proprio potere, occorre trovare un altro Sisi, come la consorteria
militare fa da circa settant’anni o perlomeno dal momento in cui il “libero
ufficiale” Nasser fu meno libero di pensieri e dal terzomondismo finì per
proporsi come raìs. Seguìto da altri militari divenuti presidente (Sadat,
Mubarak) per nulla carismatici rispetto all’apripista. Insomma la costante
delle stellette sulla vita politica egiziana potrebbe pensare di sostituire il
capo per salvare il proprio sistema, evitando rivolte di piazza e sanguinarie
repressioni.
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