Con l’eco dei festeggiamenti per il quarantennale della
Rivoluzione Islamica ancora nell’aria, il popolo (o quella parte tuttora fedele
ad ayatollah e guardiani della rivoluzione) stretto attorno agli stendardi
nazionali, alle parole d’ordine diffuse dagli altoparlanti d’un luogo simbolo
di Teheran, l’enorme piazza Azadi, rimane colpito dalla notizia di nuova
insicurezza che sedimenta sull’instabilità nazionale: l’ennesimo attentato.
Un’auto bomba è esplosa durante il passaggio di un mezzo che trasportava un
reparto di pasdaran in un’area di confine col Pakistan. E’ la martoriata
regione del Baluchistan, dove la presenza di gruppi di guerriglia sunnita
conduce da anni attentati e assalti soprattutto contro le forze armate
iraniane. In azione in più punti di quell’area, centrale di snodo di traffici
di oppio di produzione afghana, gruppi separatisti, come il cosiddetto
Jundallah, che puntano all’autonomia dall’Iran e dal Pakistan. Quest’ultimo
attraverso certi governi e le iniziative spesso indipendenti della sua agenzia
d’Intelligence (ISI) interviene a sostegno di leader talebani che hanno posto a
Quetta la propria base. Nella città a 120 chilometri dal confine afghano, ha
sede la famosa Shura organismo politico-militare più importante della galassia
talebana.
L’attentato di ieri è stato compiuto a Zahedan, un tempo chiamata
Dozz-aap (il nome, mutato sotto il regno di Reza Pahlavi, è sopravvissuto allo
Shah), una cittadina prospiciente un tratto desertico. Mentre il mezzo, che trasportava militari sul
confine pachistano, transitava un kamikaze alla guida d’una macchina l’ha
affiancato e ha innescato il carico esplosivo. Così sono morti ventisette guardiani
e un numero imprecisato è rimasto ferito,
alcuni gravemente. La notizia è stata diffusa dall’agenzia Fars che ha riportato anche un commento
piccato del ministro Zarif. Il responsabile iraniano degli Esteri sottolinea la
strana coincidenza della ripresa terroristica in contemporanea con l’avvìo della
conferenza di Varsavia volta alla “promozione di futura pace e sicurezza in
Medio Oriente”, di fatto un puntello della linea anti iraniana lanciata dall’amministrazione
Trump nella politica estera statunitense. Tantoché nello sviluppo di
quest’assise i big dell’Unione Europea si sono smarcati inviando rappresentanti
minori. Così il Segretario di Stato statunitense Pompeo si ritrova a
patteggiare principalmente con le voci dell’estremismo istituzionale del Medio
Oriente: il premier, forse ancora per poco d’Israele, Netanyahu e il principe
assassino bin Salman che il quadro internazionale pare aver perdonato per uno
dei più truculenti omicidi geopolitici degli ultimi tempi, assieme a quello di
Giulio Regeni, che ha prodotto lo smembramento del corpo stordito dell’opinionista
saudita Jamal Khashoggi.
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