Vuole di più di quel che vede e di ciò che ha, Abdel Fattah
Sisi. Sentendosi dentro e anche fuori
dall’Egitto una pedina importante del futuro di Maghreb e Mashreq, della
ricomposizione in atto nel Medio Oriente il presidente golpista punta a far
emendare quella Costituzione votata in occasione del suo primo mandato nel
2014. Gli otto anni sino al 2022, che due elezioni plebiscitarie col 97% dei
consensi gli garantiscono, gli stanno stretti. S’è guardato attorno: in patria
ha schiacciato tutti. Ha fatto arrestare l’opposizione pericolosa che gli
faceva ombra, sia quella organizzata della Fratellanza Musulmana, sia quella
della dissidenza intellettuale e giovanile. I partiti liberal-liberisti e la
pseudo sinistra contano poco, una parte di essi che si ritrova coi Moussa, Baradei, Sabahi è stata complice del
suo golpe bianco, accorgendosi nei mesi seguenti di poter diventare essa stessa
bersaglio d’un restaurato autoritarismo istituzionale. Ma guardandosi attorno
al generale che si sente statista non basta primeggiare nel Paese. La sua
megalomanìa vuol lasciare il segno, vuole oscurare persino il servilismo
filoccidentale di chi l’ha preceduto, Hosni Mubarak, rimasto al potere per un
trentennio. Vuole sedere accanto al padre dell’Egitto contemporaneo Gamal
Nasser.
Quella geopolitica di cui facciamo parte con l’Unione Europea e
qualsiasi amministrazione si succeda alla Casa Bianca considera l’attuale uomo
forte egiziano una pedina centrale sullo scenario mediorientale. E Sisi che,
dopo aver dimostrato quale pasta criminale si celi dietro lo sguardo mansueto
che sfoggia sin dai primi giorni del suo insediamento, si prende sul serio
nell’incarnare il ruolo del presidente eterno. Vuol imitare il Presidenzialismo
con la maiuscola di Erdoğan e di Putin, perpetuarsi al potere e finire sui
libri della storia nazionale. Per poterlo fare, anche grazie al terrore diffuso
a piene mani con cui ha riempito le prigioni del Cairo e dintorni, grazie a un’informazione
azzerata usa i media asserviti come quelli che da settimane suonano la grancassa del suo
progetto: emendare diversi articoli della Costituzione vigente così da poter
restare al potere per un periodo estensibile sino al 2034, quando avrà
ottant’anni. Così diventerebbe una sorta di Bouteflika, visto che il presidente-mummia
dell’Algeria proprio in queste ore s’è riproposto per un quinto mandato. Nella
regressione politica mondiale, tutta incentrata su lobbies, clan familiari e
affaristici certe situazione si riproducono a tutto svantaggio delle classi subalterne
che hanno sperato nelle promesse scaturite dal glorioso periodo delle lotte
anticoloniali. E dunque: il Parlamento egiziano dovrà discutere entro 60 giorni
questi emendamenti della Carta e poi votare.
In caso di sicura approvazione, visto che i 596 seggi sono ad
amplissima maggioranza controllati dal partito presidenziale, si potranno
ratificare i ritocchi costituzionali con un referendum popolare. La propaganda
di regime già prevede il periodo: prima dell’inizio del Ramadan che quest’anno
prende avvio il 5 maggio. Oltre al prolungamento ad libitum dell’attuale incarico
per Sisi per consentirgli “la
trasformazione del Paese, la sua modernizzazione, la revisione economica e la
lotta al terrorismo”, un programma che il generale insegue da cinque anni
senza successi, gli emendamenti creano un ufficio di vicepresidenza, un
ripristino del Senato, introducono una quota del 25% di seggi da riservare alle
donne. E si medita di creare rappresentanti per categorie (lavoratori
salariati, agricoltori, giovani e soggetti non abbienti). Ma occhio ai
provvedimenti che contano: il presidente avrebbe il potere di nominare i
magistrati e superare la supervisione giudiziaria dei disegni di legge prima che
siano convertiti e approvati in legge. Mentre la lobby militare, da sempre
osannata come protettrice del popolo (anche quanto lo bersaglia di pallottole,
ne sequestra i figli, li sevizia, li fa sparire) viene considerata “una protezione dello Stato, della democrazia
(sic) e della Costituzione”. La fase finale della dittatura è servita,
tutta col “consenso” popolare.
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