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martedì 12 febbraio 2019

Egitto, Sisi per sempre


Vuole di più di quel che vede e di ciò che ha, Abdel Fattah Sisi.  Sentendosi dentro e anche fuori dall’Egitto una pedina importante del futuro di Maghreb e Mashreq, della ricomposizione in atto nel Medio Oriente il presidente golpista punta a far emendare quella Costituzione votata in occasione del suo primo mandato nel 2014. Gli otto anni sino al 2022, che due elezioni plebiscitarie col 97% dei consensi gli garantiscono, gli stanno stretti. S’è guardato attorno: in patria ha schiacciato tutti. Ha fatto arrestare l’opposizione pericolosa che gli faceva ombra, sia quella organizzata della Fratellanza Musulmana, sia quella della dissidenza intellettuale e giovanile. I partiti liberal-liberisti e la pseudo sinistra contano poco, una parte di essi che si ritrova coi  Moussa, Baradei, Sabahi è stata complice del suo golpe bianco, accorgendosi nei mesi seguenti di poter diventare essa stessa bersaglio d’un restaurato autoritarismo istituzionale. Ma guardandosi attorno al generale che si sente statista non basta primeggiare nel Paese. La sua megalomanìa vuol lasciare il segno, vuole oscurare persino il servilismo filoccidentale di chi l’ha preceduto, Hosni Mubarak, rimasto al potere per un trentennio. Vuole sedere accanto al padre dell’Egitto contemporaneo Gamal Nasser.
Quella geopolitica di cui facciamo parte con l’Unione Europea e qualsiasi amministrazione si succeda alla Casa Bianca considera l’attuale uomo forte egiziano una pedina centrale sullo scenario mediorientale. E Sisi che, dopo aver dimostrato quale pasta criminale si celi dietro lo sguardo mansueto che sfoggia sin dai primi giorni del suo insediamento, si prende sul serio nell’incarnare il ruolo del presidente eterno. Vuol imitare il Presidenzialismo con la maiuscola di Erdoğan e di Putin, perpetuarsi al potere e finire sui libri della storia nazionale. Per poterlo fare, anche grazie al terrore diffuso a piene mani con cui ha riempito le prigioni del Cairo e dintorni, grazie a un’informazione azzerata usa i media asserviti come quelli che  da settimane suonano la grancassa del suo progetto: emendare diversi articoli della Costituzione vigente così da poter restare al potere per un periodo estensibile sino al 2034, quando avrà ottant’anni. Così diventerebbe una sorta di Bouteflika, visto che il presidente-mummia dell’Algeria proprio in queste ore s’è riproposto per un quinto mandato. Nella regressione politica mondiale, tutta incentrata su lobbies, clan familiari e affaristici certe situazione si riproducono a tutto svantaggio delle classi subalterne che hanno sperato nelle promesse scaturite dal glorioso periodo delle lotte anticoloniali. E dunque: il Parlamento egiziano dovrà discutere entro 60 giorni questi emendamenti della Carta e poi votare.
In caso di sicura approvazione, visto che i 596 seggi sono ad amplissima maggioranza controllati dal partito presidenziale, si potranno ratificare i ritocchi costituzionali con un referendum popolare. La propaganda di regime già prevede il periodo: prima dell’inizio del Ramadan che quest’anno prende avvio il 5 maggio. Oltre al prolungamento ad libitum dell’attuale incarico per Sisi per consentirgli “la trasformazione del Paese, la sua modernizzazione, la revisione economica e la lotta al terrorismo”, un programma che il generale insegue da cinque anni senza successi, gli emendamenti creano un ufficio di vicepresidenza, un ripristino del Senato, introducono una quota del 25% di seggi da riservare alle donne. E si medita di creare rappresentanti per categorie (lavoratori salariati, agricoltori, giovani e soggetti non abbienti). Ma occhio ai provvedimenti che contano: il presidente avrebbe il potere di nominare i magistrati e superare la supervisione giudiziaria dei disegni di legge prima che siano convertiti e approvati in legge. Mentre la lobby militare, da sempre osannata come protettrice del popolo (anche quanto lo bersaglia di pallottole, ne sequestra i figli, li sevizia, li fa sparire) viene considerata “una protezione dello Stato, della democrazia (sic) e della Costituzione”. La fase finale della dittatura è servita, tutta col “consenso” popolare.   

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