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martedì 27 febbraio 2018

Bin Salman, rimpasti per il suo potere


Il principe Fadh bin Badr è, su sua richiesta, sollevato dal ruolo di governatore della regione al-Jawf e sostituito dal principe Badr bin Sultan” recita la testata saudita ufficiale Al Arabyia e poi offre in maniera asettica notizie di altri incarichi: il principe Turki bin Talal che diventa governatore della regione Asir, a sud de La Mecca, e l’altro principe Faisal bin Fahd anch’egli nominato governatore della regione Ha’il. Sono gli effetti degli ulteriori scossoni che Mohammed bin Salman, il principe ereditario ‘tuttofare e molto pretendere’ assesta agli apparati della monarchia saudita. Trasformazioni etichettate come riforme, ma a ben osservare si tratta di accaparramenti clanisti o ancor più familiari, visto che il ramo Saud è ampio e variegato. I nuovi incaricati sono uomini fidati del principe designato, che con l’ennesima mossa semina pedine sicure sul territorio, come aveva già fatto col nipote Ahmad bin Fadh, nominato vicegovernatore dell’enorme area orientale che affaccia sul Golfo Persico che è anche la più ricca: Al Sharqiyya. Lì è situato il più redditizio giacimento petrolifero del regno, Ghawar, dal quale vengono estratti 5 milioni di barili di greggio al giorno (oltre il 6% della produzione mondiale). Proiettare al vertice dell’amministrazione economica di quella provincia un elemento a lui vicino vuol dire controllare i forzieri del regno.
MbS continua ad attuare un piano strategico basato su economia interna, finanza e diplomazia estere. Un rinnovamento d’immagine, cancellando gli antistorici divieti alle donne (patente di guida, partecipazione a spettacoli e manifestazioni sportive, da poco giunge anche un’apertura a vestire la divisa militare), per quanto condanne a morte, fustigazioni pubbliche e repressione della polizia religiosa, assieme alle predicazioni degli imam wahhabiti proseguano indisturbate. L’accattivante operazione restyling del delfino Saud cela, dunque, il conservatorismo fondamentalista dietro il modernismo tecnologico e affaristico praticato da Riyad, con l’aggiunta di un’aggressiva politica regionale votata a fomentare jihadismo locale e internazionale, più partecipazione diretta, coi propri reparti, a conflitti come accade da quasi tre anni in Yemen. Per avere mano libera anche su questo terreno bin Salman, che è ministro della Difesa, attua un soggettivo repulisti fra i ranghi dei già selezionati e fedelissimi vertici militari. Vengono sostituiti i responsabili dell’esercito e dell’aeronautica, con il generale Abdul Rahman bin Saleh al Bunyan considerato a fine mandato e rimpiazzato da Fayyad bin Hamed al Ruwayli. Questo ricambio durerà?
Dipende dagli esiti del conflitto contro l’etnìa Houthi, ennesimo scontro con l’Iran che non sta andando affatto bene per i progetti sauditi e per MbS, che in questo campo deve constatare l’unica defaillance d’una potentissima ascesa ai vertici del regno. Fra le mosse decisioniste del figlio prediletto di Salman c’è stata quella dello scorso novembre rivolta ad amici e possibili nemici. Tutti ricchi e potenti, molti principi, fatti condurre presso l’iper lussuoso hotel Ritz-Carlton di Riyad e lì trattenuti, in duecento e passa, ospiti e reclusi. Li si accusava di corruzione già praticata e trame in corso, li si ammoniva e intimidiva, li si metteva in disparte così da non intralciare il grande disegno predisposto dal sovrano in pectore. Oppure li si graziava e ingraziava, come accade ora al clan bin Talal, passato dalla punizione pur dorata del Ritz-Carlton cui era sottoposto il miliardario Alwaleed, all’attuale incarico di governatore concesso al fratello Turki. Sulla spettacolare operazione interna non c’è stata una chiarificazione, poiché coinvolgeva famiglie di affaristi, alle quali per costume il regime acconsente di realizzare propri interessi leciti e non. Accanto alla scontata fedeltà gli sarà stato richiesto una ligia adesione alle nuove direttive del primo fra i principi, che taluni parenti vicini e lontani non vedono di buon occhio, per la smania di potere e per i rischi generalizzati,  soprattutto geostrategici, nonostante la tutela statunitense. 

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