I taliban nelle province di Helmand e Farah, l’Isis afghano a
Kabul. Dopo neppure un mese riprende la sfida a distanza fra i due gruppi che
si contendono la supremazia jihadista nel Paese. E dunque un commando talib ha
attaccato stamane una base militare a Humvee e successivamente ha fatto
esplodere un’autobomba presso il fortino dell’Intelligence locale a Lashkar
Gah, una delle città fortemente insidiate dal contropotere territoriale talebano.
Altro agguato dei turbanti a Bala Boluk, ed è il più sanguinoso. Solo qui si
contano diciotto morti, tutti militari di guardia al check point preso di mira
dalla guerriglia. In totale le vittime accertate della mattinata s’aggirano
sulle doppia dozzina, comprese le tre o quattro vittime civili registrate nella
capitale. Lì nei pressi della zona verde, area diplomatica centrale e teoricamente
controllatissima, un attentatore suicida s’è fatto esplodere coinvolgendo
alcuni passanti. Era stato notato dai militari di vedetta per l’insolito abbigliamento:
portava al collo una cravatta che lo stesso personale diplomatico sul
territorio omette. All’intimare delle guardie di farsi riconoscere, l’uomo
azionava l’ordigno che indossava sotto la giacca. Deflagrazione e sangue a
fiotti. Secondo un copione consolidatissimo si registrano anche diversi feriti,
due in condizioni critiche.
L’attacco a Kabul, rivendicato dall’Isis, pur non riuscendo a
colpire direttamente il quartier generale della Nato e l’ambasciata statunitense,
sembrerebbe diretto simbolicamente proprio a essi, visto che nel corso del mese
di fuoco (28 dicembre 2017-27 gennaio 2018) l’amministrazione Trump aveva
annunciato di attuare l’incremento di militari statunitensi, sebbene il numero
resti circoscritto alle 3.000 unità proposte. Il governo locale ha lanciato solo
laconici comunicati sui nuovi luttuosi eventi che vedono le forze di sicurezza
incapaci non solo di prevenirli, ma spesso di gestire l’emergenza sulla linea
di fuoco. Mostrando, d’altro canto, una pseudo normalità grande enfasi in questi
giorni viene data all’avvìo dei lavori sul territorio afghano del famoso
gasdotto denominato TAPI, acronimo ripreso dalle nazioni attraversate
dall’opera (Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan, India). Cosicché nella
provincia di Herat, delegazioni provenienti da varie località sono intervenute
alla cerimonia d’inaugurazione, vestendo costumi tradizionali e inscenando
intermezzi musicali e danzanti. Secondo dichiarazioni raccolte da Tolo-tv il governatore,
un rappresentante del comitato della cittadinanza, un esponente tribale hanno
parlato di sviluppo e miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro grazie
a quest’opera.
C’è un piccolo particolare. Il gasdotto, già nei piani statunitensi
ai tempi delle presidenze Clinton che vedeva (e vede assieme alla saudita Delta
Oil) la Unocal al vertice dell’impresa, attraversa per quasi 800 km il
territorio afghano lungo le province di Herat, Kandahar, Helmand. Le ultime due
se non ufficialmente a guida talebana poco ci manca. Dunque i talebani nel bene
e nel male, rappresentato da sabotaggi d’ogni tipo, sono un soggetto con cui le
imprese costruttrici devono fare i conti. Per anni, lo stesso conflitto e la via
dell’oppio l’hanno insegnato come il business pur di procedere paga qualsiasi
prezzo, perciò l’accordo è e dovrebbe essere possibile almeno con
l’interlocutore talebano, interessato alle sorti del territorio e dello stato
afghano addirittura con mire di governo. Ora, però, è spuntato un terzo
incomodo: l’Isis locale, che sia nelle figure della diaspora talib, sia nelle
nuove leve dell’Islamic State Khorasan Province, sembra disinteressato ai patteggiamenti e potrebbe seguire direttive
diverse. Insomma la partita dell’acclamato investimento del TAPI - che
rispetto alle altre nazioni coinvolte porta all’Afghanistan una quota ridotta
sia di consumi di metano (4 milioni di metri cubi giornalieri dagli iniziali
14), sia d’introiti per l’attraversamento - non è affatto scontata sul fronte
della sicurezza. E gli obiettivi simbolici che i jihadisti d’ogni fronte
continuano a colpire, potranno rivolgere il mirino anche sull’investimento del
gas, quale ennesimo tassello d’instabilità duratura.
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