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martedì 16 gennaio 2018

Shahrudi malato rientra in Iran



Mentre prosegue la diatriba sui numeri degli arrestati a seguito delle proteste sviluppatesi in Iran a fine anno - i media interni hanno dato risalto alla liberazione di 440 persone, seppure fonti dell’opposizione all’estero sostengano che la maggior parte dei 3.700 fermati risulti tuttora in carcere - è da alcuni giorni rientrato in patria Hashemi Shahrudi. Il chierico, capo della magistratura iraniana nel decennio fra il 1999 e il 2009, si era recato in Germania per visite di controllo a seguito d’una malattia che parrebbe grave. E l’opposizione iraniana che contrasta gli ayatollah s’è subito mobilitata per chiedere il fermo di Shahrudi, trovando sponda nel deputato verde Volker Beck che ha inoltrato al suo governo una denuncia per bloccare l’ospite nella clinica di Hannover. L’attacco all’ayatollah non è l’ultimo, visto che alcuni organismi come Amnesty International, già anni addietro l’accusavano di azioni criminali per aver avallato centinaia di condanne a morte (si dice oltre duemila) comminate dai tribunali iraniani. Molte di queste condanne colpivano oppositori politici e minori, e non riguardavano i classici motivi per la pena capitale (omicidio e traffico di droga). Potevano riguardare l’accusa di tradimento della nazione.  Il braccio di ferro fra sistema iraniano e avvocati dei diritti di diverse nazioni proseguirà oltre questa richiesta, la cui attuazione risultava di per sé problematica per la politica tedesca impegnata nei giorni scorsi col rebus di una soluzione governativa.
Shahrudi, pur non appartenendo all’ala più oltranzista del clero sciita, è comunque una figura di spicco, fedelissima ad Ali Khamenei e in predicato di prenderne il posto, salute permettendo. Nell’agosto scorso è stato nominato presidente del ‘Consiglio di discernimento e delle opportunità’, organismo nato per risolvere le diatribe fra parlamento e  Consiglio dei Guardiani, che ha acquisito nel tempo un ruolo consultivo verso la Guida Suprema. Aveva sostituito un duro come l’ayatollah Yazdi nella guida del massimo organismo giudiziario, nomina avvenuta durante la presidenza di Mohammed Khatami, ma la linea non si spostò granché da quella del predecessore e le condanne a morte proseguirono, anche nella fase della guida riformista. Per questa gestione Shahrudi, nato fra gli iraniani dell’Iraq (a Najaf) allievo di Khomeini e a sua volta maestro di Nasrallah, il leader dell’Hezbollah libanese, s’è visto contestato dalla componente riformista del clero e dai laici che tuttora reclamano un orientamento politico interno più aperto. Ebbe conflitti con lo stesso presidente che gli indirizzò una lettera di fuoco per non aver fermato le condanne a parlamentari, violandone - secondo Khatami - l’immunità. Shahrudi gli rispose per le rime, sostenendo che l’indipendenza della magistratura andava rispettata da tutti, compreso il Capo di Stato, per il bene del Paese.

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