Mentre prosegue la
diatriba sui numeri degli arrestati a seguito delle proteste sviluppatesi in
Iran a fine anno - i media interni hanno dato risalto alla liberazione di 440
persone, seppure fonti dell’opposizione all’estero sostengano che la maggior
parte dei 3.700 fermati risulti tuttora in carcere - è da alcuni giorni rientrato
in patria Hashemi Shahrudi. Il chierico, capo della magistratura iraniana nel
decennio fra il 1999 e il 2009, si era recato in Germania per visite di
controllo a seguito d’una malattia che parrebbe grave. E l’opposizione iraniana
che contrasta gli ayatollah s’è subito mobilitata per chiedere il fermo di
Shahrudi, trovando sponda nel deputato verde Volker Beck che ha inoltrato al
suo governo una denuncia per bloccare l’ospite nella clinica di Hannover. L’attacco
all’ayatollah non è l’ultimo, visto che alcuni organismi come Amnesty International,
già anni addietro l’accusavano di azioni criminali per aver avallato centinaia
di condanne a morte (si dice oltre duemila) comminate dai tribunali iraniani.
Molte di queste condanne colpivano oppositori politici e minori, e non
riguardavano i classici motivi per la pena capitale (omicidio e traffico di
droga). Potevano riguardare l’accusa di tradimento della nazione. Il braccio di ferro fra sistema iraniano e
avvocati dei diritti di diverse nazioni proseguirà oltre questa richiesta, la
cui attuazione risultava di per sé problematica per la politica tedesca
impegnata nei giorni scorsi col rebus di una soluzione governativa.
Shahrudi, pur non appartenendo
all’ala più oltranzista del clero sciita, è comunque una figura di spicco,
fedelissima ad Ali Khamenei e in predicato di prenderne il posto, salute
permettendo. Nell’agosto scorso è stato nominato presidente del ‘Consiglio di
discernimento e delle opportunità’, organismo nato per risolvere le diatribe
fra parlamento e Consiglio dei
Guardiani, che ha acquisito nel tempo un ruolo consultivo verso la Guida
Suprema. Aveva sostituito un duro come l’ayatollah Yazdi nella guida del
massimo organismo giudiziario, nomina avvenuta durante la presidenza di Mohammed
Khatami, ma la linea non si spostò granché da quella del predecessore e le
condanne a morte proseguirono, anche nella fase della guida riformista. Per
questa gestione Shahrudi, nato fra gli iraniani dell’Iraq (a Najaf) allievo di
Khomeini e a sua volta maestro di Nasrallah, il leader dell’Hezbollah libanese,
s’è visto contestato dalla componente riformista del clero e dai laici che tuttora
reclamano un orientamento politico interno più aperto. Ebbe conflitti con lo stesso
presidente che gli indirizzò una lettera di fuoco per non aver fermato le condanne
a parlamentari, violandone - secondo Khatami - l’immunità. Shahrudi gli rispose
per le rime, sostenendo che l’indipendenza della magistratura andava rispettata
da tutti, compreso il Capo di Stato, per il bene del Paese.
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