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mercoledì 17 gennaio 2018

Usa: dimezzati i fondi ai palestinesi, si materializza la vendetta statunitense


Gli effetti della minaccia di Nikki Haley, l’ambasciatrice americana all’Onu che sogna di salire alla Casa Bianca e per questo picchia duro più del boss che l’ha voluta in quel ruolo, si fanno sentire. Lei col piglio dell’immigrato che rinnega le origini (la sua famiglia è indiana, non pellerossa ma del Panjab) e diventa negatrice d’ogni diritto, aveva tuonato contro il voto dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che bocciava la proposta di considerare Gerusalemme capitale di Israele. “Ci ricorderemo di voi” aveva dichiarato in faccia ai 128 delegati dei Paesi che sotterravano l’idea inseguita dal premier sionista Netanyahu. Dopo neppure un mese l’amministrazione statunitense passa all’azione, colpendo in primo luogo gli aiuti diretti all’Unrwa, l’agenzia Onu che interagisce con le Organizzazioni non governative impegnate nell’assistenza ai profughi palestinesi dislocati in Libano, Giordania, Siria. Verranno colpite anche le strutture sanitarie e d’istruzione create a Gaza e in Cisgiordania. I fondi vengono letteralmente dimezzati e passano dai 125 milioni di dollari del 2017 ai 65 milioni stanziati per l’anno in corso, coi quali ovviamente o non si riuscirà a coprire adeguatamente i servizi finora creati, oppure se ne dovrà sopprimere un congruo numero. In ogni caso ci rimetterà la popolazione.  

Il rappresentante palestinese dell’Olp negli Stati Uniti, raggiunto dall’emittente Al Jazeera, ha dichiarato che quei fondi non rientravano in nessuna contrattazione, rappresentavano un obbligo internazionale. Ma la linea Trump, volta a sostenere i desideri più insostenibili della destra israeliana che da anni detta legge nel Paese, presta il fianco a ogni sorta di provocazione per infiammare gli animi. Privare centinaia di migliaia di bambini palestinesi anche di quell’istruzione basilare rappresentata dalle scuole primarie e tagliare l’assistenza sanitaria a loro stessi e ai familiari, punta a incrementare una frustrazione già elevatissima, ancor più nei Territori Occupati dove check-point e insediamenti coloniali illegali fungono quotidianamente da spunto per vessazioni e violenze. Nella sua spiccia volgarità Trump era stato chiarissimo nel ricordare come con le centinaia di milioni di dollari annuali “pagati” ai palestinesi erano  attesi un rispetto e l’apprezzamento anche delle più canagliesche iniziative, e quella su Gerusalemme lo è in pieno. Se gli Accordi di Oslo, sminuenti per ogni prospettiva di autodeterminazione palestinese, risultano un vago ricordo superato e calpestato dall’aggressivo realismo politico di Tel Aviv in atto da un quarto di secolo, il sostegno globale al sionismo punta ad alzare sempre più l’asticella. E propone privazione, umiliazione, repressione, secondo cicli permanenti e crescenti.

1 commento:

  1. Non sarebbe più semplice dopo tanti anni di guerra, tanti morti e tanti stenti, fare la pace? Sperare che gli ebrei se ne vadano dalla Palestina è utopia. Se i palestinesi facessero la pace gli ebrei non costringerebbero i palestinesi a diventare ebrei come gli arabi hanno preteso di islamizzare Israele nel 600 D.C.Però questo atteggiamento cioè la pace andrebbe a cozzare contro la cultura islamica ed è sempre la religione che divide gli uomini. Però se ciò avvenisse sarebbe sarebbe una grande rivoluzione per il mondo islamico e forse anche l'Arabia Saudita potrebbe riconoscere il ruolo fondamentale delle donne e la loro uguaglianza civile con gli uomini.

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