In lingua coloniale, il francese che nel Maghreb è parlato come
l’arabo, son definiti “Ercidisti”. Da RCD, Rassemblement
Costitutionel Démocratique, il vecchio partito di Abidine Ben Ali. Il
patrigno della Tunisia che, con l’aiuto dell’altra sponda del Mediterraneo,
sotterrò politicamente Bourguiba, elevando se stesso al potere. L’altra sponda
eravamo noi, l’Italia craxiana e andreottiana attiva, nel 1987, a predisporre
quello che fu definito il ‘golpe morbido’. Il colpo doveva garantire una svolta
democratica (si perdoni la contraddizione in termini) in una Tunisia che rischiava
di diventare terreno di coltura per l’Islam politico. In realtà a Roma
interessavano gli affari petroliferi dell’Eni, quelli d’industrie tessili, e
non solo, che delocalizzavano avvantaggiandosi di manodopera a prezzi
stracciati. A essere garantito non fu lo sviluppo della nazione e della sua
popolazione, ma l'interesse del neo presidente tunisino, del cospicuo clan familiare acquisito
con la seconda moglie, Leila Trabelsi, con l'aggiunta della casta dei faccendieri personali e
di Stato. Tutto ciò era chiaro anche nel ventennio che precedette la grande
ribellione popolare del 2011, quando il referente di sponda di Ben Ali, Bettino
Craxi, caduto in disgrazia per Tangentopoli, aveva trovato riparo come
latitante di lusso nella tenuta personale di Hammamet. Fra il regime affamatore
di Ben Ali e l’attuale politica laica che s’oppone agli ingombranti e
contraddittori passi compiuti nel 2012 dall’Islam politico, incarnato da
Ennahda e dai furori jihadisti, c’è l’immagine di Béji Caïd Essebsi, politico
vecchio per mentalità ed età anagrafica (oggi 91 anni, 85 all’epoca della
creazione del suo partito liberista Nidaa Tounés).
Un classico esempio di quegli uomini per tutte le stagioni che si
son visti nell’Egitto pre golpe Sisi (Suleimann, ElBaradei) o l’attuale Al
Serraj libico. Finti traghettatori che non conducono verso nessuna soluzione,
se non quella dettata dai poteri sovranazionali che in Occidente si chiamano Fondo
Monetario Internazionale e Nato. Perciò indigna ma non stupisce che la coppia
Ben Ali-Trabelsi, vissuta per ventitre anni ad arricchirsi in casa propria, sia dal
2011 a Gedda, a godersi i beni sottratti alla nazione, al riparo da ogni sentenza per
corruzione e frode, appropriazione di capitali, addirittura detenzione di reperti
archeologici. Tutti reati addebitatigli. Al seguito dei genitori ci sono i figli Halima e Mohamed; mentre
Nersrine Ben Ali e il marito affarista Sakher El Materi, entrambi condannati in
contumacia per frode, corruzione, acquisto illecito di terreni, sono riparati
prima in Qatar quindi alle Seychelles. In Canada è finito il capo della
famiglia Trabelsi, Belhassen, fratello di Leila. Moglie e figli hanno ottenuto
lo status di rifugiati, perché considerati soggetti vulnerabili, lui no. Solo
ultimamente i parenti hanno avuto un blocco dei propri fondi finanziari,
probabilmente a seguito di un intervento del governo tunisino che si presentava
come parte lesa. Per quello che s’intravede nel panorama politico attuale non è
detto che il governo continuerà a sostenerlo. Ma non sono questi
citati gli unici seguaci del dittatore. Uno degli aspetti denunciati
dall’opposizione, oltre ai rincari generalizzati che infiammano da dieci giorni
le strade del Paese, è la presenza di numerosi politici “benalisti” riciclati
da e con Essebsi. Il premier Chahed che, nello scorso settembre, assumendo
l’incarico annunciava un intervento per combattere terrorismo e corruzione, e
incrementare crescita economica ed eguaglianza sociale, non solo ha stentato
nell’avviare il programma.
Chahed su pressione del presidente ha affidato ministeri
chiave (difesa, esteri, finanze, educazione) a personaggi screditati per la
passata vicinanza alla gestione di Ben Ali. Ora che la crisi brucia sulla pelle
degli strati più disagiati, ma disagiata è anche la metà della popolazione
giovanile di ogni ceto che non trova lavoro, quest’apertura delle Istituzioni
ai volponi della politica urta ancor più il sentimento dell’attivismo più
cosciente. Il tema era già stato affrontato mesi addietro dai minoritari gruppi
di sinistra, eppure numerosi analisti gettavano acqua sul fuoco sostenendo che
diversi dei nomi contestati erano ‘tecnici’ più che ‘politici benalisti’, e
venivano scelti perché, dal momento delle grandi contestazioni in poi non era
sorta una nuova classe dirigente competente, che peraltro non si forma in un
quinquennio. Però, d’altro canto, proprio situazioni come l’attuale non
permettono, o volutamente non sono intenzionate, a svezzare figure competenti
che possano comunque essere messe nelle condizioni di predisporre un’alternativa di salvaguardia
della nazione e della sua gente. Secondo altri politologi, invece, l’essenza
conservatrice di Ennahda e la finta svolta democratica di Nidaa Tounés mirano
allo stesso obiettivo: evitare ogni rinnovamento. Come appare anche
dall’attacco a “Verità e giustizia”, un’iniziativa istituita per verificare la
violazione di diritti umani e crimini economici commessi fra il 1955 e il 2013.
Essebsi sta cercando di eliminare da “Verità e giustizia” il reato di corruzione. E non sembra un caso.
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