“Ci sono truffatori
ovunque si guarda. La situazione è disperata” scriveva Daphne Caruana
Galizia di ciò che vedeva in un’isola piccina ed esotica, seppur per storia e
lingua legata al continente. Quell’isola, Malta, nei mesi scorsi era definita
da un’inchiesta de L’Espresso,
l’isola del tesoro’, non per richiami letterari bensì per intrighi politico-finanziari
che ne oscurano l’orizzonte. Sugli intrecci fra politica e criminalità, che in
troppi casi si legano indissolubilmente, indagava e scriveva Daphne con la
caparbietà della cronista, l’intuito dell’investigatrice, il coraggio della commentatrice
civile. Era l’immagine della giornalista che interpreta il mestiere come
servizio, non come vetrina autoreferenziale. Era. Perché Daphne, cinquantatre
anni, è stata fatta saltare in aria sulla sua auto, sicuramente da una delle
mani cui intralciava gli intrallazzi. Intrallazzi enormi, se si è scomodato
qualcuno capace di far brillare l’auto come si fa in Medioriente o fra le
cosche della mafia siciliana. Roba da terrorismo, Servizi e criminalità
globale. Di nemici la giornalista maltese ne aveva un’infinità. Lei vedeva,
fiutava, ricercava e scriveva. L’aveva fatto per Sunday Times of Malta e per il Malta
Indipendent, ora lo faceva su Running
Commentary un blog veloce come il titolo, tagliente come il suo argomentare
puntuto.
Ora il premier laburista Muscat, uno dei bersagli fissi di
Caruana Galizia perché implicato in mille vicende a dir poco ombrose che ne
cadenzano il percorso politico, afferma che non avrà pace “finché giustizia non sarà fatta”. Dichiarazione che somiglia a
quelle che nel Belpaese si ascoltavano dopo gravissimi fatti di sangue per
bocca di uomini di governo. Di motivi per far brillare, com’è accaduto,
l’automobile della cronista nella campagna presso Bidnija, ce n’erano diversi.
Il più grosso, che ha portato copiosi capitali sui conti panamensi di Michelle
Muscat, una sorta di Leila Trabelsi Ben Ali o di Anna Moncini Craxi, proveniva dalla
figlia del chiacchieratissimo ed eterno presidente dell’Azerbaijan Aliyev. Pari
a un milione di dollari. La divulgazione di notizie e le inchieste
giornalistiche che vedevano Daphne in prima fila avevano prodotto qualche
fastidio a Muscat, così durante il periodo di conduzione del semestre europeo
si dimise o, per opportunità, venne costretto a farlo. I regali, più o meno
occulti, provenienti dall’Azerbaijan coinvolgono diversi soggetti attorno
all’affare più grosso che il Paese del Caspio s’appresta a fare con l’Unione
Europea: la Trans Adriatic Pipeline.
Quel gasdotto, dopo aver attraversato tutta l’Anatolia, porta
il gas azero per circa 900 km sul suolo greco, albanese, il Mar Adriatico e,
per un tratto di otto chilometri, italiano. Oltre a trovare un sostegno nello
Stato turco, che ne trae vantaggi di dazio e rifornimenti di metano a
bassissimo costo, Aliyev ha cercato di attirare i partner europei interessati
direttamente o indirettamente. Ambasciatore d’affari per conto della British
Petroleum che realizzerà le condotte sul territorio greco, albanese e italiano
è l’ex premier laburista Tony Blair, di casa a Malta e nella stessa casa del
primo ministro maltese. Nelle ricerche giornalistiche di Daphne il cerchio non
si chiudeva solo su quest’evidente incrocio d’interessi. C’erano altri canali,
alcuni noti e denunciati dalla passione civile della giornalista, altri su cui
lavorava con l’ausilio del figlio Matthew, impegnato nell’International consortium of investigative journalism. Alcune
tracce pubblicate, altre da sviluppare. Perché nonostante la passionalità e
l’irruenza caratteriale Caruana Galizia, oltre ad affermarne con coscienza la
deontologia, sapeva benissimo come comportarsi secondo le normative
giornalistiche. Muscat gli aveva rifilato una querela, seguendo il costume più
utilizzato da chi vuole tagliare le gambe alle
inchieste. Quindici giorni fa la cronista rivelava d’aver ricevuto
minacce. Ieri è giunta puntuale la morte.
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