Con enfasi la stampa
saudita lancia notizie e immagini dell’incontro tenutosi a Mosca fra un’ampia
delegazione guidata da re Salman e lo staff del presidente russo Putin,
presenti i rispettivi ministri degli Esteri Al-Jubeir e Lavrov. Il tutto per
“cementare” le relazioni fra i due Paesi, che in realtà in questi anni attorno
a questioni mediorientali come la guerra civile siriana sono stato tutt’altro
che benevoli. Eppure la linea della modernità del binomio Salman-Salman bin
(sovrano ed erede al trono) segue logiche rinnovate rispetto alla statica tradizione
della petromonarchia, o almeno così mostra riguardo a tattiche d’alleanza
strategica. Ne segue questo discorso a tutto campo con Putin, che proprio in
Medio Oriente sta giocando le sue carte geopolitiche più azzeccate. Dagli
accordi scaturisce un piano d’investimenti militari da un miliardo di dollari,
una briciola rispetto ai 110 miliardi concordati con Trump in occasione della
famosa “danza delle spade” del maggio scorso. Eppure l’apertura alla Russia ha
un gran peso. Sia perché segue altri patti coi russi, relativi a piattaforme
missilistiche da collocare nella penisola arabica, ma soprattutto per il valore
politico che si trascina dietro. Gli accordi prevedono anche sostegni economici
e tecnologici per trasporti, telecomunicazioni, tecnologia energetica e agricoltura.
E ancora prossime
sinergie che coinvolgono le aziende d’eccellenza delle due nazioni: Sibur e
Saudi Aramco e vanno dalla progettazione di espansione del settore petrochimico
all’incremento dell’industrializzazione di aree arretrate della penisola
arabica, con lo sguardo sicuramente rivolto agli alleati più stretti dei Saud. Poiché
le petromonarchie sono, in gran parte, partner economici e geostrategici
statunitensi, la mossa dei Salman fa scalpore e mostra come in questi anni la
dirigenza russa riesce a tessere tele diplomatiche a lei decisamente
redditizie. Ovviamente nella partita delle firme rientrano le armi, consistente
nella fornitura di missili difensivi S400, una delle piattaforme missilistiche
più avanzate presenti sul prolifico mercato bellico internazionale. E’ una
tecnologia che i ricercatori russi hanno messo a punto dal 2007 e che continua
a migliorare, basata su missili balistici a lungo-medio e corto raggio (dai 400
ai 40km per neutralizzare attacchi aerei). In un’ottica di potenziamento del
proprio arsenale, l’acquisizione di questi prototipi non può che accrescere la
capacità militare di Ryad. Coordinare e far coesistere la presenza di
“consiglieri” russi con quelli statunitensi di stanza nella penisola arabica e
nelle basi Nato si presenta come tappa diplomatica ulteriormente complessa per
i Saud.
Per tacere delle
alleanze e dei veti incrociati, che avranno ripercussioni a Teheran e Ankara. Certo,
tutto può rientrare in quella che appare chiaramente come una nuova fase di
“armamento dissuasivo” a livello globale che, se non raggiunge i toni della passata
Guerra Fredda, cerca di emularli con condizionamenti di vario genere. Seppure
differenze rispetto a un tempo traspaiono da alleanze duttili e flessibili che,
in taluni scenari ma solo in quelli, superano l’appartenenza a blocchi
precostituiti. Dal punto di vista della politica strategico-militare il blocco
fortificato ed espanso è quello Nato, con l’ampliamento verso est del
territorio di controllo e di creazione di nuove basi sin dal 2006-07. Nelle
aree di crisi mediorientale i focolai sono accesi e contesi e la quadratura di
accordi come questo firmato al Cremlino dovrà fare i conti con interessi
contrapposti. Parlando di sicurezza i Salman si sono pronunciati a favore della
conservazione dell’unità della Siria, sostenuta da Putin, e sulla sorte di Asad
si è addirittura sorvolato. Ma hanno pesantemente accusato l’Iran di lavorare
per lo squilibrio dell’area (il riferimento allo Yemen è stato diretto) e non è
detto che non si troveranno ad appoggiare la mossa trumpiana di smembramento
dell’accordo sul nucleare siglato da Obama. Se così dovesse essere le qualità
sportive della diplomazia di Putin dovranno dar fondo a chissà quali salti-giro
poiché né Khamenei e neppure Rohani si dicono disposti a far marcia indietro.
Nessun commento:
Posta un commento