Scontro diplomatico a
suon di visti fra Stati Uniti e Turchia, con un uno-due che da domenica (anche
se solo ieri le agenzie hanno diffuso la notizia) vede bloccati i permessi
d’ingresso fra i due Paesi per turismo, necessità sanitarie, commercio, lavoro
e studio. L’Anadolu sostiene che ha
iniziato Washington e ne è seguita la risposta di Ankara, nonostante nelle ore
precedenti il segretario di Stato Tillerson e il ministro degli Esteri Çavuşoğlu
avessero colloquiato al telefono apparentemente senza tensioni. Il fuoco ardeva
sotto la cenere. La stampa statunitense rivela ciò che può essere stato il
motivo scatenante, stamane confermato anche dal quotidiano istanbuliota Hurriyet: la scorsa settimana un impiegato
turco (Metin Topuz) in servizio presso il Consolato americano di Istanbul era
stato arrestato perché messo in relazione con un magistrato dimissionario
(Zekerya Öz) e quattro agenti indagati nel 2013 per corruzione. Costoro
farebbero parte della rete gülenista, l’organizzazione finita da oltre un anno
nelle spire dell’inchiesta sul tentato golpe, mentre su Topuz cala il sospetto
di spionaggio. Peraltro si teme che anche la moglie e il figlio dell’impiegato
siano stati bloccati nella provincia di Amasya, sul Mar Nero. Attualmente le
diplomazie stanno trattando e provano a stemperare i toni. Da Kiev, dov’è in
visita, è intervenuto lo stesso presidente turco Erdoğan, affermando che questi
contrasti rendono tutti molto tristi. Anche da parte americana si manifesta un
simile stato d’animo, però finora è assente qualsiasi gesto pacificatore.
Ben oltre le questioni sentimentali
sono l’economia e la sicurezza a interessare alle due parti, vicine e alleate
più di quanto possa sembrare. Per il dissidio in corso, nel pomeriggio di ieri,
la lira turca ha registrato una flessione in molte borse mondiali, col picco di
caduta a meno 4% sui mercati asiatici. A seguito dell’anomala situazione anche i
rispettivi apparati militari legati dai patti Nato chiedono lumi ai propri
governi. I due sanguigni presidenti hanno parecchie grane e non avrebbero
motivo per crearne di nuove, alla nazione e a se stessi. In realtà fra gli
alleati turchi e americani alcune divergenze trasformatesi in disaccordo esistono
da settimane e mesi. Attorno al sostegno offerto da Casa Bianca e Pentagono ai
combattenti kurdi in Siria; riguardo al reiterato rifiuto di estradare l’imam
Fethullah Gülen (residente in Pennsylvania) che viene additato da Erdoğan come
il grande burattinaio del tentato golpe del 15 luglio 2016. E ancora rispetto al
cambio di rotta operato negli ultimi mesi dalla Turchia che, sempre nella crisi
siriana, sta accettando il punto di vista russo sul probabile futuro del regime
di Asad. Quest’ultima tensione diplomatica, inoltre, riapre le diatribe attorno
alle svolte autoritarie in corso in Anatolia, alla detenzione di decine di
cittadini stranieri accusati di terrorismo, fra costoro ci sono alcuni
americani. Altra benzina sul fuoco la versa stamane il premier turco Yıldırım,
sostenendo che il suo Paese non necessita del permesso statunitense per
trattenere sospettati.
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