Human Rights Watch lancia per bocca della sua responsabile
dell’area mediorientale un’esplicita richiesta alla Repubblica Islamica
dell’Iran affinché cessi il reclutamento di giovanissimi immigrati afghani che
finiscono sul fronte siriano. E lì muoiono in combattimento, com’è di recente
accaduto a otto di loro. Martiri certo, ma d’una guerra scelta per modo di
dire. Un report pubblicato sul sito dell’Ong evidenzia due contraddizioni: si
tratta di ragazzi-soldato spesso d’età inferiore ai diciotto anni dichiarati.
Lo scopo è essere inseriti nei reparti della divisione Fatemiyoun, la milizia
degli hazara sciiti, già attiva all’epoca della guerra antisovietica e dal 2014
impegnata a sostegno del governo di Damasco, sotto la supervisione delle
Guardie rivoluzionarie iraniane. Attualmente la divisione conta 14.000
combattenti. Per entrarvi i giovani si aumentano l’età (le ultime vittime
avevano fra i 14 e 15 anni) e i reclutatori non indagano, l’unico loro
interesse è avere miliziani al fronte. L’altra contraddizione si riferisce alla
presunta “vocazione” alla battaglia, scaturita dalla possibilità di guadagnarsi
un’accoglienza definitiva sul territorio iraniano. Purché si resti in vita…
HRW ne fa una questione, diciamo deontologica, sostenendo che
accordi internazionali impediscono il reclutamento di militi adolescenti. E
rilancia sostenendo che proprio in base ai princìpi proclamati l’Iran dovrebbe
tutelare i minori, di qualunque etnìa. Le ultime statistiche in circolazione
calcolano 2,5 milioni gli immigrati e rifugiati afghani in Iran, la scelta di
andare a combattere offre ai giovani e ai loro familiari la possibilità di
essere stabilizzati nel Paese. Ovviamente si tratta dell’altra faccia della
medaglia mostrata da due terribili realtà: guerra e migrazione. E quest’ultima,
nel caso afghano, è direttamente correlata con la condizione di conflitto
permanente che affligge la nazione da circa quarant’anni. HRW, che coi suoi addetti s’è recata nei cimiteri dei martiri, il Behesht-e-Zahra
di Teheran, e in un altro in provincia di Isfahan, mostra immagini delle tombe che
testimoniano come le vittime siano diciassettenni e quindicenni. Tutti sono indicati
come martiri dei ‘luoghi santi’ ma sono caduti in combattimento in Siria. Anche
rispetto ai dati presenti sulle lapidi e nei colloqui avuti coi familiari di
due di loro, HRW sostiene ci sia
discrasia: la morte li avrebbe colti quando non erano maggiorenni.
Parecchi giovani
miliziani della divisione hazara temono un possibile rientro nel proprio Paese,
dove verrebbero reclutati dall’esercito governativo o dai talebani. Per questo
fuggono, scegliendo il male che gli sembra minore. Ciò che due anni or sono era
apparso come un atto inclusivo, oltre che umanitario, da parte della Guida
Suprema Khamenei che sentenziava: “Nessun
giovane afghano, anche senza documenti, dovrebbe essere lasciato fuori dalle
scuole” risulta di fatto superato da leggi che offrono il permesso di soggiorno
a chi s’arruola nella divisione Fatemiyoun, accettandone l’agenda militare. La
loro scuola, dunque, è il campo di battaglia. Citando l’Optional Protocol delle Nazioni Unite per i diritti dei bambini, Human Rights Watch rammenta che sfruttare
l’impegno bellico dei minori, ma anche reclutarli rappresenta un crimine di
guerra. E ne ha per tutti, anche per le sigle che lottano per libertà e
autonomia come le Unità di Difesa del Popolo del Rojava, scoperta a utilizzare
combattenti al di sotto dei 18 anni. L’organizzazione non governativa apre una
visuale che va oltre quelle che gli eserciti ufficiali chiamano “regole
d’ingaggio”, ma per certe cause taluni princìpi stentano a trovare comprensione
e accettazione.
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