Nel
puzzle della politica i tasselli talvolta vengono mancare, soprattutto se qualcuno
si perde per inciampi di via. L’importante è sostituirli. Il destino dell’ex
ministra dello Sviluppo economico Guidi, figlia imprenditrice di Guidalberto
che fu vicepresidente di Confindustria, era a sua insaputa legato all’Egitto.
Fu durante una sua visita al Cairo nei primi del febbraio scorso (si doveva discutere
di contratti milionari da lanciare fra il governo Renzi e quello del presidente
golpista Al Sisi) che fu rinvenuto il cadavere martoriato di Giulio Regeni. Imbarazzo
e immediato rientro in patria della delegazione composta dallo staff del
ministro e da imprenditori nostrani. Seguiva
una crescente tensione fra i due Paesi per le versioni devianti sulla fine del
ricercatore e l’assenza di collaborazione degli inquirenti egiziani con la Procura
italiana. Il passo più significativo compiuto da Palazzo Chigi e dalla Farnesina
davanti alla sfrontatezza di Al Sisi, Ghaffar, Shourky e magistrati locali è
stato il ritiro dell’ambasciatore Massari. Una mezza crisi diplomatica che
diceva: “Non ci facciamo deridere, vogliamo una seria inchiesta sull’omicidio”.
Ma la politica nazionale, che in tutto il mondo è sempre più importante di
quella estera, ha fatto inciampare la ministra Guidi in affari ben poco etici
con aiutini al fidanzato, speculatore di sentimenti oltre che di contratti
favoriti dagli emendamenti fatti inserire dalla responsabile del dicastero
dello Sviluppo nella legge di stabilità. Una normale anomalìa italiana.
Quindi
dimissioni ‘suggerite’ da Renzi e caselle vuote da riempire. Ora il tassello di
sostituzione viene trovato. E’ Carlo Calenda, anche lui figlio d’arte, il papà
Fabio economista, la mamma Cristina (Comencini, a sua volta figlia di
cinepresa) formatosi nel clan Ferrari fino a diventare assistente di Luca
Cordero di Montezemolo. Un uomo dal pedigree corazzatissimo, come si chiede al
management rampante in carriera politica. Già vice ministro allo Sviluppo
economico nel governo Letta, Calenda viene dirottato da Renzi all’Unione
Europea come rappresentante permanente, nomina a gennaio diventata esecutiva il
21 marzo scorso. Neanche il tempo di sistemarsi in loco che il giro di giostra
delle nomine lo riporta a Roma, in via Veneto. Al suo posto finisce l’ex
ambasciatore Massari, che aveva speso una voce risoluta per illustrare le
violenze subìte dal povero Regeni nelle mani dei sequestratori-torturatori-assassini.
E nell’impasse che comunque su questa vicenda Italia ed Egitto continuano a
registrare, giunge la notizia che il nostro premier, nel suo giocare coi
tasselli del puzzle, invita il ministro degli Esteri a nominare una nuova
feluca in Egitto. Sarà Giampaolo Cantini, già direttore della Cooperazione, che
nel curriculum diplomatico sfoggia un’esperienza nel mondo arabo con il
servizio di ambasciatore ad Algeri e di console a Gerusalemme. Ciascuno al suo
posto, dunque.
Ma la
nomina di un ambasciatore al Cairo lascia presagire che l’uomo non resterà in
qualche stanzuccia della Farnesina. Fra poco potrà con tanto di staff assumere al
Cairo il ruolo per il quale viene incaricato. E i magheggioni del regime
egiziano già sorridono, perché la melina giocata può dare i frutti sperati: polvere
del deserto sul caso dello studioso friulano della cui morte si continua a
incolpare la banda di criminali comuni sterminata a colpi di mitra alcune
settimane fa. Gli investigatori e i responsabili dei servizi cairoti insistono
con questa tesi, sebbene la sorella di una delle vittime abbia dichiarato a
quel che resta della libera stampa del suo Paese le manovre con cui la polizia
ha fabbricato la tesi del sequestro che incolpavano il congiunto prima di
liquidarlo assieme a quattro compari. Il ministro Gentiloni, il premier Renzi
avevano promesso di non recedere d’un passo dal sostenere le richieste dei
familiari di Giulio, affinché tutti i depistaggi per nascondere ciò che appare
come un omicidio di Stato venissero alla luce, assieme a responsabili e
mandanti. Un’assicurazione solenne che con la nomina di un ambasciatore già
inizia a sbiadirsi. Lasciare quel posto vacante avrebbe avuto l’impatto
indignato della prim’ora. Avrebbe gridato all’anomalia del regime di Sisi,
pronto a repressione, tortura, assassinio come ricordano i graffittari di
Mohamed Mahmoud street, che disegnando in queste ore sui muri il volto di
Giulio ribadiscono: era come noi, perciò l’hanno ucciso.
Nessun commento:
Posta un commento