Muhammad
Stanakzai alla Direzione Nazionale della Sicurezza, Abdullah Khan al Ministero
della Difesa sono i nomi scelti dalla diarchia afghana Ghani-Abdullah per
occupare quei posti rimasti a lungo vacanti perché non ricevevano il voto di
fiducia del Parlamento. Con l’approssimarsi del vertice Nato di Varsavia
(luglio 2016), al quale è invitato, Ghani non vuol farsi trovare coi compitini
non eseguiti a dovere. Ad aprile erano state riempite le caselle vuote degli Interni
e della Procura generale, tutto secondo il programma che deve ricevere il
benestare di Washington. Infatti Stanakzai ha buoni rapporti coi comandi Nato
delle due missioni Resolute Support e
Freedom Sentinel che presiedono
l’attività di controguerriglia. Gli Usa, in virtù dei finanziamenti offerti
(3.2 miliardi per l’anno in corso e 3.5 per il 2017), avrebbero voluto tenere
Stanakzai per tutto il 2015 al ministero della Difesa, ma c’è stato l’intoppo
parlamentare della mancata conferma. Così le carte sono state rimescolate e con
esse le attribuzioni che privilegiano elementi esperti e fidati, sebbene i due
siano uomini per tutte le stagioni. I curricula parlano da sé. Stanakzai s’è
diplomato presso il Dipartimento comunicazione dell’Accademia militare di
Kabul, conseguendo poi un master in filosofia e ingegneria per lo sviluppo
sostenibile dall’Università di Cambridge. Ha lavorato a lungo nell’esercito per
entrare nel rango di ‘colonnello delle comunicazioni’ durante il governo del
Partito Democratico del Popolo di fine anni Settanta.
Quindi è
riparato a Pashwar lavorando per alcune Ong e nuovamente in Afghanistan presso
l’Agenzia per la Conservazione dell’Energia. Nel 2002 è stato cooptato al
governo prima come ministro delle Telecomunicazioni, poi come assistente di
Karzai. Per questo veniva considerato un fedelissimo dell’ex presidente. Nel
2009 presiedeva l’Alto Consiglio di Pace e Riconciliazione ed è stato fra i
pochi funzionari a conservare la precedente posizione durante la transizione da
Karzai a Ghani. Con Karzai aveva avuto un ruolo durante i colloqui coi
talebani, funzione rilanciata proprio un
anno fa in nuovi incontri coi Talib, conclusisi senza esito, nella regione
cinese dello Xinjiang. In occasione dell’attentato a Rabbani (settembre 2011)
fu seriamente ferito rimanendo claudicante, nel 2014 è stato oggetto di un
altro attentato. Khan nel 2015 era stato prescelto per l’incarico di ministro,
ma s’è ritirato perché osteggiato da ex mujahhedin che ne ricordavano la
vicinanza al governo filocomunista del Partito Democratico del Popolo. A poco
gli è valsa l’adesione al Jamiat-e Islami dopo la caduta di quel governo. In
realtà ha servito tutti, ottenendo responsabilità militari dai leader che si
sono succeduti a Kabul: Najimbullah, Rabbani, mullah Omar, Karzai e ora Ghani. Originario
del distretto di Kunar, è un ufficiale dell’artiglieria diplomatosi
nell’Accademia di Kabul nel 1972 dopo una formazione nell’Unione Sovietica.
Durante gli incarichi di vertice ha compiuto passaggi dall’esercito alla
polizia che nel Paese sono ricorrenti. Sotto il governo Rabbani (1995) era il
responsabile del dipartimento di addestramento, carica mantenuta anche sotto i
talebani. Con l’arrivo di Karzai ha conservato quel ruolo, diventando nel 2003
responsabile delle ispezioni e delle informazioni delle Forze Armate.
Dal 2008 al 2010
è stato aiuto ministro della Difesa e Comandante delle regioni dell’est sul
confine pakistano. Un’area incandescente, permeabile a traffici d’ogni genere e
passaggi di milizie talebane. Per l’esperienza accumulata nelle circostanze più
varie, Khan gode di un’ampia credibilità tanto che svariati analisti
preferiscono figure simili a quelle politiche. Ma i politici di professione pur
di restare in sella le provano tutte e Ghani, che ha iniziato subito a fare il
Karzai, s’industria con ogni alchimia. Certo il riciclo di due vecchi nomi, marchiati
a fuoco da alcuni gruppi islamici, mostra come il governo d’unità nazionale
viva tuttora turbolenze nel cercare e ancor più nel trovare candidati per le
posizioni chiave. Specie se le direttive restano quelle di concentrare il
potere servendosi di due etnìe, gli onnipresenti pashtun, cui risulta legato
Ghani e i tajiki ossequiati da Abdullah. Fuori dai grandi giri restano uzbeki e
hazara. Così va a riproporsi una situazione simile al ‘cerchio magico’ costruito
attorno a poteri personali e si
ripercorre la via di Karzai. Quest’ultimo per garantirsi il ruolo concedeva
incarichi a una schiera di ex mujahhedin, tecnocrati e finanche ex filo
comunisti e talebani, tutti premiati con comandi vari e privilegi. Si continua
così, con la benedizione di Washington cui interessano le basi strategiche e di
Pechino concentrato sul business delle miniere. Mentre a Kabul devono fare i
conti coi turbanti, con cui per ora si combatte, ma non è detto che sarà per
sempre.
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