Non basta
essere accreditati nientemeno che dal Dipartimento di Stato statunitense, cosa
che rende molto più che embedded qualsiasi
cronista. Non basta al realismo politico imposto dagli uomini duri del panorama mondiale, sia in uno scenario d’interessi globali, sia per gli occhi puntati
sul giardino di casa. E quando fra le aiuole le spine sono molto più numerose
delle rose, come accade nell’Egitto di Abdel Fattah Sisi, il livello di
prevenzione diventa assoluto. Lo testimonia David E. Sanger sul prestigioso New York Times, per sua stessa
ammissione introdotto da oltre un ventennio al seguito dei Capi di Stato che
contano. Non di fronte al presidente golpista.
Abituato a viaggiare
al seguito dei potenti, ma anche a svolgere il mestiere con una certa
deontologia che non tralascia le domande scomode rivolte pure al suo Segretario
di Stato o, in tempi recenti sulla crisi siriana, ai ministri degli Esteri
russo Lavrov e iraniano Zarif, Sanger sa quel che costoro concedono ai pruriti
giornalistici. E sa che certi segreti si trattano nelle segrete stanze dove le
porte son chiuse a mandata doppia. Però ricorda che nessuno si blinda
preventivamente, neppure il sovrano del Bahrain o il presidente turkmeno, gente
abituata solo a convenevoli, riverenze e ossequi. Addirittura rammenta quando
al seguito d’un neo insediato Obama si recò sempre al Cairo, era il 2009, e
Mubarak si dispose ai quesiti pepati suoi e dei filtrati colleghi ammessi al
consesso. Anche nei giorni bui della rivolta di Tahrir il raìs rispondeva a
talune domande della stampa estera. Invece ieri il nuovo faraone ha creato un
fitto cordone sanitario intorno all’incontro con John Kerry. Per Sanger e altri
cronisti scesi dall’aereo statunitense era pronta una sala dell’aeroporto del
Cairo, un apartheid precauzionale, per evitare discorsi scomodi. Che il
giornalista americano non nasconde e correla proprio a uno dei motivi del
colloquio fra i due statisti: i finanziamenti di 1.3 miliardi di dollari che
Washington versa all’Egitto per l’acquisto di F16, elicotteri da combattimento,
tanks e altro materiale bellico, comprese le armi usate da poliziotti e
mukhabarat. Servono queste armi anche a far fuori gli oppositori politici?
Sanger lo chiede indirettamente nel suo articolo, perché lo scaltro Sisi non
gli ha consentito di porre la domanda nella conferenza stampa. Si è trattato
d’un incontro muto, erano ammessi solo fotografi e cineoperatori che con gli obiettivi
potevano mostrare solo l’ufficialità asettica dove tutto va bene fra sorrisi e
stratte di mano. Come altri uomini forti al comando in giro per il mondo, il
presidente egiziano accetta d’incontrare solo giornalisti acquiescenti, come
l’attuale direttore de La Repubblica
Mario Calabresi che in lunga intervista speciale sullo scottante caso Regeni,
non trovò modo, tempo e spazio per porre il quesito sulla repressione interna
che il generale non vuol sentire da nessun reporter.
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