L’avvocato Al-Baqr che si sta occupando della
difesa legale della fotoreporter egiziana Esraa al-Taweel, ha dichiarato al Daily News Egypt, fra i pochi quotidiani
che trattano il tema: “Solo dopo la
comunicazione ai familiari che Esraa era rinchiusa nella prigione femminile di
Qanater abbiamo potuto ricevere sue notizie e incontrarla. La ragazza sosteneva d’aver dormito, mangiato e risposto a serrati interrogatori restando
sempre bendata”. Insomma le è stata applicata la “cura Sisi”, neppure nella
versione più robusta, perché attivisti del Movimento 6 Aprile usciti, per loro
fortuna, da galere come Tora, Al-Aqrab hanno parlato di soggiorni molto più
stringenti, non solo in fatto di bendature. Tanto che da oltre un anno, come
altri “tamarod“ si sono ricreduti sul ruolo di salvatore della patria del
generale-presidente e hanno formato assieme al Partito della Costituzione,
all’Alleanza popolare, al Partito Karama, ai socialisti una struttura
denominata Freedom for the brave che
cerca, per quanto possibile, notizie sui desaparecidos egiziani (sul tema vedi http://contropiano.org/esteri/item/10929-i-desaparecidos-di-piazza-tahrir).
Operazione spesso improba, perché il ministero dell’Interno nega che le forze
di polizia stiano effettuando prelevamenti forzati di attivisti e oppositori.
Su tali vicende si muove anche il National Council of Human Rights, ma il
muro di gomma del golpista dalla faccia per bene s’ispessisce. Inoltre la sua
disponibilità di acquisire tecnologia armata statunitense e riversarla
indistintamente su jihadisti e abitanti del Sinai, fa passare oltre qualsiasi
considerazione delle Nazioni Unite. Che del resto in zona di bombardamenti a
raffica ne ha conosciuti (Piombo fuso, Pilastro di difesa, Margine di
protezione) continuando a lasciar correre. Una mezza ammissione c’è per i
militanti della Fratellanza Musulmana, posti da due anni fuorilegge e
perseguiti per ragioni di ‘sicurezza nazionale’. Negli ultimi mesi sono stai
direttamente paragonati ai jihadisti alleati dell’Isis e per loro c’è la pena capitale,
che ora Sisi propone di rendere esecutiva appena la sentenza viene pronunciata
col primo grado di giudizio. Nello scontro senza quartiere che s’è aperto due
anni or sono col defenestramento del presidente Mursi, i massacri del 14-15
agosto 2013 (dai mille ai duemila morti, anche lì ci sono ‘desaparecidos’ i cui
corpi non sono stati ritrovati, ma di cui testimoniano i familiari), la
persecuzione sistematica d’ogni opposizione, islamica e laica, e infine la
comparsa d’un combattentismo alleato all’Isis, la restrizione della libertà è
l’unica certezza presente della vita quotidiana.
L’Egyptian
coordination of rights and freeedom solo negli ultimi due mesi ha
denunciato la scomparsa di circa 800 cittadini. Testimonianze riparlano di
quell’area plumbea, omertosa, piena di paure che circolava prima della
speranzosa Rivoluzione del 25 gennaio 2011, quando i mukhabarat di Mubarak avevano carta bianca sulla vita della
popolazione. Il mai abolito articolo 54 della Costituzione prevede arresti o
restrizioni della libertà del cittadino solo a seguito d’investigazioni su
reati di cui ci siano prove; mentre da tempo si ripetono situazioni in cui
uomini in borghese, che non si fanno identificare, fermano e prelevano persone
in strada, conducendoli in prigione in maniera totalmente illegale. I
socialdemocratici hanno recentemente rivolto un appello al presidente perché
chiarisca simili comportamenti, ma le sue scelte sono più che chiare nel voler
aumentare lo strapotere poliziesco e giudiziario contro qualsiasi controllo dal
basso sull’uso della repressione. Un andamento approvato dal partito Wafd che,
accusando le associazioni dei diritti umani d’ingerenza sulle questioni
interne, sostiene come fra fermati e reclusi possono sicuramente esserci cittadini
atti a delinquere; perciò la prevenzione prevale su qualsivoglia presunta
libertà. Per le Esraa d’Egitto l’orizzonte resta nero, come se le vicende di
Samira Ibrahim e Said Khaled non fossero mai accadute.
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