Continui approcci diplomatici e militari sono in
atto fra talebani e istituzioni afghane. Quest’ultime provano a limitare
l’antico fronte conflittuale coi Talib della vecchia guardia (Shura di Quetta)
puntando ad avvicinarla e accordarsi con una componente che si scontra con attuali
dissidenti incentivati dallo Stato Islamico. Negli ultimi mesi l’Isis ha
inserito alcune sue “menti” nella crepa che s’è creata fra gruppi come i Teerik-e
Taliban e tutti coloro che dubitano della presenza in vita d’un leader che ha
segnato la storia recente di questo movimento combattente: il mullah Omar. Nelle
scorse settimane unità di veterani talebani hanno attaccato a sud e a est di
Jalalabad gruppi di colleghi schierati da mesi con lo Stato Islamico e per
questo diventati nemici. In un distretto i fedeli ad Al Baghdadi avevano
rimpiazzato i talebani locali, avviando incursioni anche nei territori delle
aree tribali (Fata). Ne sono seguite crudeli esecuzioni che prevedevano la decapitazione
di quei guerriglieri fuggiti di fronte a una delle rare offensive dell’esercito
afghano.
Nelle località dove i talebani hanno cambiato
bandiera, finendo sotto lo stendardo nero, le atrocità verso le persone sono
aumentate e fra le vittime s’annoverano anche gli insorgenti che evitano di
mettersi al servizio del Califfo di Raqqa. L’offensiva talebana di primavera ha
visto in prima fila questi soggetti particolarmente aggressivi, contro tutti.
Lo scontro fra fazioni s’è impossessato del panorama politico-militare di
alcune aree, riproducendo schemi che ricordano la sanguinosissima guerra civile
che imperversò dal 1992 al 1996 fra molti Signori della guerra. Proprio
l’attuale vuoto di leadership (che fa pensare a una dipartita o una defezione
di Omar) sta incentivando la miriade di schegge impazzite in misura mai vista
in precedenza. Lo Stato Islamico prosegue la sua pubblicità itinerante sulla
violenza, che risulta estrema anche per gli standard talebani. Così nelle aree
tribali di Nangarhar, Bati Kot – a sud-est di Jalalabad – pare che i vessilli
di chi appoggia i combattenti Isis non siano ben visti.
E sul versante opposto del Paese, verso l’Iran,
in provincia di Farah, i vecchi talebani sono riusciti a sedare una momentanea
dissidenza del gruppo. Quando l’Isis ha stabilito lì un campo di addestramento,
reclutando centinaia di giovani, prevalentemente combattenti o simpatizzanti,
il comandante talebano ha invitato alla preghiera e alla meditazione gli
scolari delle madrase e la gente delle maggiori moschee, sostenendo come tale
presenza fondamentalista sarebbe risultata pericolosa (sic). Fonti locali hanno
rivelato che l’iniziativa ha dato i suoi frutti: oltre la metà dei giovani è
rientrata fra le file talebane. Insomma il presidente Ghani che avvia oggi, in
terra straniera (a Murree, vicino a Islamabad), incontri con tre turbanti tradizionali
cerca di attirare a sé la componente a tutt’oggi meno feroce verso il governo
di Kabul. Governo aggredito in queste settimane dagli attentati filo Isis anche
nel Parlamento, e difeso unicamente dal cielo: giorni addietro i droni
statunitensi hanno colpito a morte 49 miliziani pro Isis. I tre talebani
d’antan hanno affermato di parlare a nome personale, tanto che gli eventuali
patti possono restare flebili parole. Difficile, ma realistico pensare che nei
palazzi di Kabul si rimpianga il mullah Omar.
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