Se la ride, e come non potrebbe, mister Niarkos,
figlio d’arte e di privilegi. Il papà Stavros, armatore, rivaleggiava con
quell’Aristotele che conosceva un’unica filosofia: il denaro. Le dinastie degli
armatori greci: Niarkos, Onassis, Vardinoyannis, Latsis, Alafouzos, Marinakis,
le sanguisughe delle casse statali che per decenni hanno incamerato dracme,
dollari, euro senza versare nulla in patria. Quintessenza dell’egoismo
padronale. Accresciuto dall’articolo 89 della Costituzione che li esenta dal
versare tasse, privilegio chissà perché congelato visto che una reale
democrazia può richiedere una revisione costituzionale. Una vera democrazia,
questo è un problema irrisolto nella terra del governo del popolo. In un rapido
volo fra le biografie degli armatori che furono e degli epigoni in navigazione,
c’è un comune denominatore: umili origini (per padri e nonni), in famiglie
talvolta numerose, tal altre migranti e voglia di arrivare. Ma dietro questi
uomini fatti da sé, marchiati da nomi epici ci sono fortune misteriose,
ambigue, bordeline. “Derrière chaque
grande fortune, il y a un grand crime” sosteneva un letterato testimone
degli arricchimenti della prima grande borghesia mondiale.
E le vite, gli affari, lo splendore di alcuni di
questi greci imbarcati fra il primo e secondo Novecento, hanno il sapore delle
ambiguità del grande Gatsby fitzgeraldiano. Tutte nascono Oltreoceano,
appoggiandosi a business mai trasparenti legati a petrolieri (trasporto e
smercio di greggio), militari (rifornimenti alle navi della Us Navy), legami
matrimoniali con clan statunitensi della finanza, economia e politica che si
chiamano Ford e Kennedy. Sembrano davvero trame di romanzi. Certuni si fanno
una guerra perlomeno sui rotocalchi, spendendo e spandendo fiumi di denaro
ovunque, tranne che nelle casse statali. Perché già prima del famigerato passo
della Costituzione del triste 1967 i signori delle navi pensavano bene di non
battere la bella bandiera di casa. Qualcuno (Latsis) si trascinava vecchie
storie di collaborazionismo con l’occupante nazista, che si faceva perdonare con
regalìe ed elargizioni allo Stato. Ma nessun ripensamento sulle imposte che la
casta ritiene “non dovute”. Il più narciso (Onassis) coltivava la fama di
seduttore e collezionista di donne famose (Maria Callas e Jacquelin Bouvier,
vedova Kennedy, le più in vista), si comprava un’isola e organizzava feste
mondane.
Molti, già straricchi, hanno svariato con
ulteriori affari nei trasporti (Olympic Airways, Singapore Airlines, compagnìe
low cost) oppure si sono dilettati con lo sport e i media, fra squadre di
calcio (Olympiakos, Panathinaikos, padrone del campionato, rissose in campo,
sugli spalti e nelle riunioni di Lega, tanto da costringere nello scorso
febbraio uno scandalizzato Tsipras a sospendere il campionato), canali
televisivi (Mega Channel, Smart tv, Antenna
1), radio (Skai, Antenna 97,1), quotidiani
(Kathimerini, Mesimvrini). Un’orgia di potere, denaro e
sollazzi durati decenni all’ombra di altri potentati, appartenenti ai clan
familiari del bipolarismo Nea Dimokratia–Pasok (soprattutto Karamanlis e
Papandreou, con la variante Mitsotakis), che si sono a lungo spartiti
maggioranza parlamentare e governo. Senza muovere un dito contro i vantaggi
goduti dalla lobby degli armatori, la componente più corposa del capitalismo
greco. Il Paese accanto alle navi può vantare la sola risorsa del turismo, un
ulteriore colabrodo per il fisco nazionale. Così, negli anni di crisi e di
attacco della Troika, a versare sono rimasti i più deboli, quei dipendenti e
pensionati ora incolonnati per raccimolare i 50 euro settimanali distribuiti in
questi giorni.
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