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venerdì 3 luglio 2015

Armatori, quei greci che impoveriscono la Grecia

Se la ride, e come non potrebbe, mister Niarkos, figlio d’arte e di privilegi. Il papà Stavros, armatore, rivaleggiava con quell’Aristotele che conosceva un’unica filosofia: il denaro. Le dinastie degli armatori greci: Niarkos, Onassis, Vardinoyannis, Latsis, Alafouzos, Marinakis, le sanguisughe delle casse statali che per decenni hanno incamerato dracme, dollari, euro senza versare nulla in patria. Quintessenza dell’egoismo padronale. Accresciuto dall’articolo 89 della Costituzione che li esenta dal versare tasse, privilegio chissà perché congelato visto che una reale democrazia può richiedere una revisione costituzionale. Una vera democrazia, questo è un problema irrisolto nella terra del governo del popolo. In un rapido volo fra le biografie degli armatori che furono e degli epigoni in navigazione, c’è un comune denominatore: umili origini (per padri e nonni), in famiglie talvolta numerose, tal altre migranti e voglia di arrivare. Ma dietro questi uomini fatti da sé, marchiati da nomi epici ci sono fortune misteriose, ambigue, bordeline. “Derrière chaque grande fortune, il y a un grand crime” sosteneva un letterato testimone degli arricchimenti della prima grande borghesia mondiale.
E le vite, gli affari, lo splendore di alcuni di questi greci imbarcati fra il primo e secondo Novecento, hanno il sapore delle ambiguità del grande Gatsby fitzgeraldiano. Tutte nascono Oltreoceano, appoggiandosi a business mai trasparenti legati a petrolieri (trasporto e smercio di greggio), militari (rifornimenti alle navi della Us Navy), legami matrimoniali con clan statunitensi della finanza, economia e politica che si chiamano Ford e Kennedy. Sembrano davvero trame di romanzi. Certuni si fanno una guerra perlomeno sui rotocalchi, spendendo e spandendo fiumi di denaro ovunque, tranne che nelle casse statali. Perché già prima del famigerato passo della Costituzione del triste 1967 i signori delle navi pensavano bene di non battere la bella bandiera di casa. Qualcuno (Latsis) si trascinava vecchie storie di collaborazionismo con l’occupante nazista, che si faceva perdonare con regalìe ed elargizioni allo Stato. Ma nessun ripensamento sulle imposte che la casta ritiene “non dovute”. Il più narciso (Onassis) coltivava la fama di seduttore e collezionista di donne famose (Maria Callas e Jacquelin Bouvier, vedova Kennedy, le più in vista), si comprava un’isola e organizzava feste mondane.

Molti, già straricchi, hanno svariato con ulteriori affari nei trasporti (Olympic Airways, Singapore Airlines, compagnìe low cost) oppure si sono dilettati con lo sport e i media, fra squadre di calcio (Olympiakos, Panathinaikos, padrone del campionato, rissose in campo, sugli spalti e nelle riunioni di Lega, tanto da costringere nello scorso febbraio uno scandalizzato Tsipras a sospendere il campionato), canali televisivi (Mega Channel, Smart tv, Antenna 1), radio (Skai, Antenna 97,1), quotidiani (Kathimerini,  Mesimvrini). Un’orgia di potere, denaro e sollazzi durati decenni all’ombra di altri potentati, appartenenti ai clan familiari del bipolarismo Nea Dimokratia–Pasok (soprattutto Karamanlis e Papandreou, con la variante Mitsotakis), che si sono a lungo spartiti maggioranza parlamentare e governo. Senza muovere un dito contro i vantaggi goduti dalla lobby degli armatori, la componente più corposa del capitalismo greco. Il Paese accanto alle navi può vantare la sola risorsa del turismo, un ulteriore colabrodo per il fisco nazionale. Così, negli anni di crisi e di attacco della Troika, a versare sono rimasti i più deboli, quei dipendenti e pensionati ora incolonnati per raccimolare i 50 euro settimanali distribuiti in questi giorni.

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