Dicono che strizzando l’occhio abbia annuito e
apprezzato la mossa diplomatica. Fra mistero e mito aleggia un messaggio
attribuito al mullah Omar, lo si rintraccia su un sito web divulgatore del verbo
talebano. E’ un’approvazione dei colloqui che la scorsa settimana si sono
svolti nei pressi di Islamabad, impegnando lo staff e il presidente afghano
Ghani in trattative con un gruppo di leader talebani anti Isis. L’incontro,
preceduto nel mese di maggio da informali chiacchierate intercorse in territorio
cinese e qatarino, stabilisce la palese intenzione di cooptare i capi Taliban
disposti ad accordarsi su una tregua e una successiva pace. Insomma si
reimposta la linea di condotta tenuta da Karzai e Petraeus, che fra il 2009 e
2010 avevano avviato trattative per poi lasciarle cadere. I tempi son cambiati.
Le truppe Nato di terra lasciano l’Afghanistan, ma fra i combattenti della
regione il fondamentalismo resiste creando spaccature nella già divisa famiglia
talebana.
Ora il pericolo sono gli irriducibili
avvicinatisi allo Stato Islamico, o che comunque ne usano la sigla come sta
accadendo in altre aree orientali fortemente instabili. Far parlare il mullah
Omar è un azzardo assoluto. Di lui non si ricordano apparizioni pubbliche dalla
caduta del governo dei turbanti nel 2001. Nei primi mesi dell’anno seguente all’intervento
delle truppe Nato si diceva combattesse trasferendosi di provincia in
provincia. Dicerie. Col tempo gli stessi esponenti della Shura di Quetta hanno
iniziato a dubitare della sua presenza in vita. All’opposto nessun nemico
occidentale, né avversario interno dell’area dei Warlords ha potuto mai vantare
di averlo catturato o eliminato. Così la figura del coriaceo monocolo è
un’ombra che diventa leggenda fra i resistenti. Attribuire allo sfuggente Omar
un benestare verso i colloqui di pace, assume i contorni d’una magnifica
propaganda rivolta ai miliziani più giovani, in genere energetici e desiderosi
di proseguire il conflitto contro le stesse istituzioni afghane.
Queste sono da mesi sotto pressione e continuamente
colpite dai talebani più intransigenti come i Tareek-i-Talib, radicati dal
Waziristan alla zona delle Fata. Gli attacchi sono giunti sin dentro il
Parlamento. Dire che Omar annuisce, serve allo stesso Ghani che guida il Paese
in cogestione con tajiko Abdullah, una diarchia creata per evitare lo scontro
fra i maggioritari pashtun contro altre etnìe. Il conflitto civile, condizione
esplosiva degli anni Novata mai disinnescata da nessun intervento di guerra o
di pace, è un processo strisciante che di fatto è già presente. A rilanciarlo
afghani in divisa dell’Anf e talebani fondamentalisti che si palesano o
s’infiltrano nell’esercito senza che nessuno riesca a prevalere. Dai mesi
invernali timori crescenti sono sorti attorno alla scelta d’un jihadismo
settario e assoluto, il modello propugnato dall’Isis.
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