Torna alle
urne la Tunisia del cambiamento e della conservazione, stavolta votando per
il nuovo presidente. Ventisette candidati, vecchi volponi e alternative reali o
presunte. Tredici gli indipendenti. La tesi d’una Tunisia unica nazione delle
Primavere arabe a essersi preservata dal caos e dalla restaurazione autoritaria
è davanti agli occhi di tutti. Il miracolo s’è materializzato dopo le turbolenze
e gli accesi contrasti d’un anno fa fra movimenti laici e Islam politico che,
contestatissimo dopo gli oscuri episodi dell’assassinio politico di due capi
dell’opposizione, ha evitato il braccio di ferro che avrebbe potuto dipingergli
scenari cairoti. Scelta dibattuta fra opportunismo o realismo ha comunque
condotto il partito a confrontarsi elettoralmente e accettare la sconfitta da
parte dei laici conservatori di Nidaa Tounes, che ora pongono il leader Caid
Essebsi, ottantottenne per tutte le stagioni, in prima fila per la più alta
carica dello Stato. La Costituzione, adottata dal mese di gennaio, prevede un
sistema semipresidenziale con presidente e premier a condividere il potere
esecutivo. E’ il capo di Stato, eleggibile per due mandati di cinque anni
ciascuno, a presiedere sicurezza nazionale, politica estera e nominare ministro
della difesa e degli esteri.
Negli
ultimi tempi una questione che ha tenuto banco è l’abolizione della
legge che vietava ai politici legati al clanismo di Ben Ali e signora di
ripresentarsi alle elezioni. Anche alcuni esponenti di Ennahda hanno accettato
l’emendamento, decidendo di confrontarsi alle urne e nei seggi coi vecchi e nuovi
volti di quel sistema più che laico, laido, oppressore e torturatore. Decisione
sorprendente, che ha aperto il dibattito nelle file di quel partito, ma che lo rimette
in gioco nella fase di creazione del prossimo governo. Nidaa Tounes non ha i
numeri per formarlo e per ora ha chiesto
consultazioni solo dopo le presidenziali. Da quest’ultima sfida gli islamici si
smarcano, non presentando uomini di punta per l’incarico, si dipingono
tolleranti e democratici accettando il dialogo a tutto tondo e restano disponibili
all’ipotesi di un esecutivo d’unità nazionale.
Fra i nomi noti per la presidenza oltre a Essebsi c’è il presidente
uscente Moncef Marzouki, figura rispettata per i suoi trascorsi d’oppositore
alla dittatura di Ben Ali; il capo dell’Assemblea Costituente Mustapha Ben
Jaafar; la magistrata e prima candidata donna Kalthoum Kannou che, forse deludendo
tante femministe del Paese, dichiara di non essere una candidato per le donne,
ma per l’intera nazione.
Poi c’è
l’out sider che fa impazzire il gossip politico nazionale ed estero. Slim Riahi, già
ribattezzato il Berlusconi tunisino, e per chi ha lo sguardo fisso oltre il
canale di Sicilia, in lui c’è anche un pizzico di renzismo dato dall’essere
quarantenne, ammaliatore, dinamico. Come il prototipo d’ogni buon populista la
forza di Riahi sta nel rapporto diretto con la gente. Lui ci va a nozze. Oltre
a cercarla negli stadi legandosi e finanziando il Club African lo rincorre coi
classici mezzi d’un proprio network televisivo e d’un partito patriottico
(Upl). Non disdegna, ovviamente circondato da nugoli di guardie del corpo, di
passare in certi tuguri dei sobborghi di Tunisi a promettere lavoro, a far
sognare supporter calcistici, giovani disoccupati e disperati. I politologi
sostengono che potrebbe essere una sorpresa proprio perché pesca nel serbatoio
dell’ignoranza politica, fra le masse sprovvedute e bisognose da cui la
famiglia Riahi s’allontanò cercando fortuna in Libia. Accreditato di legami coi
Trabelsi e Gheddafi, Slim smentisce solo quest’ultima passata vicinanza.
Continua a ripetere che se verrà eletto la sua esperienza di manager e
affarista calamiterà investimenti e capitali. Certe chances gli giungono
dall’aria che tira in Tunisia: le risposte a un sondaggio preelettorale
scelgono con oltre il 70% una più forte economia rispetto a una più forte democrazia.
Mentre i tifosi del club dicono: è pieno di soldi, lui non ci ruberà di certo.
Provare per credere. Sull’altra sponda del Mediterraneo c’è chi piange ancora.
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