Mentre il presidente Ghani discorre a porte
chiuse e stringe la mano del premier pakistano Nawaz Sharif, discutendo sul
futuro e sulla sicurezza indispensabile per stabilirlo, c’è chi dice no. Lo
manifesta a suon di autobomba che esplode durante il passaggio d’un corteo di
vetture parlamentari intente a raggiungere i palazzi di rappresentanza. Fra
esse quella di Shukria Barakzai, onorevole e avvocato impegnata (a suo dire) a favore dei diritti delle donne, rimasta leggermente ferita. Ferite anche altre ventidue
persone, per tre non c’è stato nulla da fare. Allungano la lista dei caduti nel
conflitto latente e ossessivamente presente nella quotidianità afghana. Erano
kabulioti di passaggio sul luogo della deflagrazione che, fortissima, ha
rimbombato in un’ampia zona della capitale. Esistono due agende contrapposte
fra chi cerca nuovi equilibri e chi conserva caos consolidati. I rappresentanti
istituzionali di due nazioni contigue che a lungo si sono guardate in cagnesco,
con l’accusa afghana rivolta a Islamabad d’interferire e attentare all’unità
nazionale sfruttando a suo vantaggio la totale instabilità dei vicini, paiono
tornare a dialogare. Nel nuovo corso politico avviato da Ghani, che avalla i
piani statunitensi di vigilanza sul territorio attraverso le basi
dell’aeronautica militare, e di sfruttamento del sottosuolo con propri gruppi d’impresa
e garantendolo ad altri businessmen, le ragioni di sicurezza restano centrali e
irrinunciabili.
L’insorgenza talebana lavora contro tale
progetto, che non appare distante dagli intenti imperialisti dei decenni
precedenti serviti a depredare il Paese, tarpando le ali a sviluppi autoctoni.
In genere i seminatori di terrore e morte mirano a elevare il livello della
paura per tenere congelata l’anomalìa, solo che quest’ultima esplosione può non
rientrare nei piani caotici inseguiti dal contropotere dei turbanti. Costoro
non hanno rivendicato l’attacco contro i parlamentari e l’hanno disdegnato, per
cui Ghani potrebbe scoprire di non avere già più quell’ampio consenso frutto del
compromesso dei mesi scorsi e di trovarsi dei sabotatori occulti in casa.
Oppure semplicemente riceve da qualche alleato dell’amplissimo clan di sostegno,
segnali di sgradimento sugli ultimi passi. Il Pakistan stesso che ha mire
egemoniche sull’intera regione, vive frizioni con la componente talebana più
intransigente che vuole continuare ad agire indisturbata nell'area Fata, già territorio a sé dal lato afghano e dal versante pakistano. Da uomo di
business e d’apparato internazionale Ghani fa politica basandosi sull’economia.
Le due trasferte in successione che l’hanno condotto in Cina e ora in Pakistan
partivano dalla sfera economica per toccare altre questioni. Se i cinesi per
gli affari chiedono un panorama tranquillo o comunque controllato, i pakistani
guardano a piani di collaborazione sulla sicurezza che portino i propri
“consiglieri” nei gangli dell’Afghan National Security Forces. Fra una
settimana il 23 novembre si ritroveranno tutti all’assise della Saarc,
l’associazione della cooperazione sud asiatica, dov’è presente anche l’India.
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