La maniacale presenza scenico-ideologica (e ora
anche teologica, così Fethullah impara) con cui sultanpascià Erdoğan non si
lascia sfuggire occasione per annunci, esternazioni, inviti forzosi,
imposizioni, divieti e ora anche prediche s’è sviluppata a lungo negli anni di
premierato. Dall’agosto scorso, che l’ha incoronato presidente islamico a furor
di scheda, lui si sente in dovere anche d’interpretare il Corano. Al Baghdadi rischia
di vedersi rubare la vetrina della reazione mediatica; fors’anche l’ambiente
degli ayatollah sciiti si preoccupa di fronte a una presenza pronta a competere
col loro velayat-e faqih. Il tempismo
poi è sempre stato l’asso nella manica del leader dell’Akp. Inizialmente
creduto un gaffeur, dimostratosi invece un peso massimo della provocazione e
del braccio di ferro, finora vincenti per lui. Così alla vigilia della
“Giornata mondiale contro la violenza sulle donne” anziché trattare il tema del
maschilismo assassino nella società turca - in questo simile al mondo
cattolico, protestante, ebraico e di tante religioni - discetta ex cathedra,
come i papi inquisitori del tempo andato. “L’eguaglianza
fra uomo e donna non esiste, c’è piuttosto l’equivalenza”. Questo dice
Recep Tayyip, come si trattasse di questioni matematiche, coppie ordinate
dell’insiemistica, roba da relazione binaria… E via andare: “Gli uomini e le donne non possono ricoprire
le stesse posizioni perché sono diversi per indole e costituzione e non si può
andare contro natura”. Quindi fra ovvietà e benevola concessione “a una donna incinta non si può dire: prendi
una vanga e scava tutto il giorno”. Ma è appena un cenno, perché il suo bersaglio
di sono certe idee femminili, che anziché darsi esclusivamente alla maternità
concepiscono un’ideologia. Per ribadirlo prende le scritture e scomoda il
Corano: “La nostra religione ha definito
una posizione per le donne: la maternità”. Guai alle diverse. Ineccepibile,
indiscutibile, come talune interpretazioni del salafismo duro e puro.
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