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domenica 2 novembre 2014

Programma Ghani: business, patria e sicurezza

Nel Paese abbiamo 4.000 affaristi e molti sono pronti a lanciarsi sul mercato cinese” dichiara il presidente afghano Ghani di ritorno da un viaggio a casa dell’immenso e potente vicino, sempre più interessato a ciò che c’è sotto il suolo afghano e preoccupato a cosa si muove sopra. All’inverso alcuni di questi businessmen si mostrano assillati dalla scarsa sicurezza che ostacola le procedure mercantili. Probabilmente non si tratta di quel genere d’imprenditori che sull’instabilità della nazione hanno creato personali fortune, passando dal ruolo di signore della guerra a politico e affarista, come Fahim vicepresidente di Karzai, defunto per infarto nei mesi scorsi. O quell’altro tipo di capitano d’impresa che è stato Ahmed, il fratello del presidente. Faccendiere chiacchieratissimo che prestava servizi alla Cia, e signore dell’oppio, morto anche lui (nel 2011) ma non naturalmente. Venne fatto fuori, o dalla stessa Intelligence statunitense oppure dalla criminalità internazionale con cui pattuiva tranche dell’immenso business di coltivazione, trasformazione e traffico di eroina e altri derivati dell’oppio. La maggiore riserva di denaro per l’Afghanistan, assieme ai fondi degli aiuti internazionali.
Gli uffici presidenziali di Kabul divulgano la nota che Ghani si sta personalmente occupando di garantire gli interessi commerciali contro la criminalità comune e le minacce degli insorgenti. A voler pensare male, la mossa può riuscirgli facile perché il suo insediamento a Capo di Stato, diretto dallo staff di John Kerry, è frutto del compromesso con cui i maggiori “padrini” delle province afghane si sono accordati per il futuro. Costoro chiederebbero solo di riscuotere l’interesse per la tranquillità che, ciascuno nella propria sfera d’influenza, procurano a ogni attività d’impresa, nazionale o straniera. E’ la tangente mafiosa, tanto diffusa anche in Occidente. Invece sul più instabile fronte talebano Ghani gioca una partita diplomatica che punta a una sorta di pacificazione attorno a temi tradizional-religiosi, “i valori sono comuni, abbiamo solo idee diverse sulla governance”. In cambio chiede una diminuzione di attacchi contro i propri militari. Ma qui l’ostacolo principale è il Bilateral Security Agreement che consente agli States di conservare e ampliare la presenza sul territorio con basi aeree, una situazione attualmente considerata inaccettabile da tutta la galassia talebana.
Per trattare meglio la questione, a breve il presidente volerà da Kabul a Islamabad; mentre negli incontri cinesi ha invitato gli interlocutori, notoriamente in ottimi rapporti coi pakistani, ad aiutarlo in un’azione pacificatoria che può avvantaggiare tutto il business asiatico. Pechino ha risposto col denaro, ha elargito a fondo perduto 500 milioni di yuan (81 milioni di dollari), sperando che Ghani s’accontenti senza avanzare rogne di politica estera. Lui nel rivolgersi probabilmente più agli imprenditori di primo pelo, con scarsi legami col sottobosco di potere, ha affermato che difenderà chi dovesse cadere nella rete dei rapimenti. Attacchi alla sicurezza da stroncare con pene esemplari come l’impiccagione o cinquant’anni di carcere duro. Poiché lanciando l’invito agli investimenti, che riguardano aziende piccole e medie, l’obiettivo della tranquillità di lavoro risulta centrale. Intanto la propaganda di supporto all’operazione-Ghani “uomo del cambiamento” porta l’informazione ufficiale, di cui Tolo tv è regina, a divulgarne dati di consenso che superano l’80%. Mentre quella parte politica che sicuramente rappresenta un’opposizione al governo ha manifestato ieri in parecchie località la sua solidarietà internazionale per la difesa di Kobanȇ contro ogni fondamentalismo. Scendendo in strada non solo a Kabul, ma a Balkh, Mazar-e Sharif, Bamyan, Farah, Herat, Jalalabad, Nangarhar, Takhar.


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