Secondo un
rapporto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, i cui contenuti sono diffusi dalla
testata britannica The Guardian, oltre
15.000 guerriglieri jihadisti sono in viaggio per dar manforte allo Stato
Islamico in Siria e Iraq. Sono prevalentemente giovani provenienti da
un’ottantina di Paesi, anche da alcuni che non hanno mai partecipato ad azioni
di polizia internazionale contro il terrorismo islamico. Il ridimensionamento
dei gruppi qaedisti, in qualche caso contrastati dagli stessi nuovi membri
dell’Isis com’è accaduto alla siriana
Al-Nusra, non sminuisce il numero dei combattenti. La propaganda, cui l’ultima organizzazione
fondamentalista riserva un’estrema importanza, ha una funzione di
fidelizzazione, esibisce jihaidsti alle Maldive e video di supporter cileni e
norvegesi. Già da mesi erano noti e attivi i miliziani provenienti da Francia e
Gran Bretagna, direttamente relazionati con la consistente presenza dell’immigrazione
araba, maghrebina, pakistana, radicate lì da decenni e ormai alla terza generazione.
L’indebolimento di Qaeda non porta scompensi, anzi ha fatto aumentare le
adesioni al jihad che attualmente ingrossa le file dell’Isis e incrementa le
vocazioni per l’internazionale dell’Islam combattente.
Attualmente
chi combatte fuori
non sembrerebbe interessato a colpire entro le proprie frontiere per non incrementare retate
repressive, ma tali obiettivi non sono
esclusi e le nazioni di provenienza di questa gioventù jihadista si troveranno
a fare i conti con chi rientra dai campi di battaglia siriano e iracheno. Nonostante
i recenti contrasti e le scomuniche della casa madre, Al Qaeda e Isis
perseguono il medesimo obiettivo seppure con tattiche e progressioni differenti,
caratterizzate da enunciazioni e piani dei propri leader. Anche le dispute fra
capi riflettono una sequenza di propaganda. L’Isis propone un abbraccio
cosmopolita, usando gli strumenti tecnologici del web che hanno scalzato l’appeal
dei superati proclami di Qaeda, con Zawahiri inquadrato a ‘camera fissa’ per circa
un’ora. L’Isis usa twitter, ask.fm, kik, non è bloccata da rigidezze
strutturali, lancia video sintetici e più agili, pure con contenuti
agghiaccianti quando propone i messaggi di terrore con le lugubri esecuzioni in
diretta. E utilizza il multilinguaggio dei social media rivolgendolo a un
pubblico più giovane e più internazionale. Nelle zone controllate, a suo dire
liberate, interloquisce direttamente con la popolazione.
Certo Abu
Obida, uno dei mercanti di petrolio (merce che frutta un milione di dollari al
giorno alle casse del Califfato) porta con sé il kalashnikov mentre saluta e
“consiglia” i cittadini di Raqqa secondo i dettami dell’hisbah. Secondo una lettura salafita del Corano l’azione, che
significa “responsabilità”, è un dovere per ogni musulmano. Gli uomini dell’Is vestono
i panni dei suggeritori di ciò che è bene e di ciò che è male. Così Abu
pattuglia le strade e con fare bonario dice come mercanteggiare, cosa mostrare
e cosa no: certi manifesti troppo occidentali oppure le trasparenze della
propria moglie. Non bisogna mai dimenticare d’essere islamici, sulla fede va
costruito l’orgoglio e una diversità. Nell’indicare i comportamenti ai
cittadini, questi uomini s’ammantano di un’autorità morale con cui mostrano
potere, ma intrecciano rapporti. Totalmente subordinati dalla propria posizione
di forza, che però ottengono l’attenzione e una sorta di convincimento.
Pensieri e azioni che sedimentano nella testa della gente visto che
l’imposizione s’accompagna al dialogo. Gli stessi consumatori di bevande
alcoliche, alcolisti o meno, parlano della bontà della loro reclusione e
punizione nel filmato nel network statunitense-canadese Vice News in cui i
jihadisti appaiono in tutto il loro crudo realismo. Un soggetto politico dalle
idee medioevali, ma dalle sinapsi moderne.
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