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giovedì 6 marzo 2014

Presidenziali afghane, un mese di fuoco


Mentre volano altissime le promesse elettorali attorno all’economia, ad esempio Abdullah  dalle sue roccaforti di Helmand e Nangarhar, lancia a parole: espansione industriale in alcune città (non è dato sapere quali), riconversione da economia di consumo (in verità non per tutti) a economia di produzione. Passando - udite, udite - per un piano di trasporti con la costruzione d’una ferrovia che unisca nord e sud del Paese, riconversione dell’agricoltura (contro il papavero da oppio?) e sfruttamento (straniero) delle ricchezze del sottosuolo (terre rare, fra cui cadmio, argento, rame). Insomma mentre garriscono simili progetti giunge la doccia fredda sui dati del Pil nazionale. Nel 2013 ulteriormente diminuito per i mancati investimenti esterni. Del resto gran parte delle province risultano solo formalmente sotto il controllo delle ricostruende Forze Armate afghane, lasciando da parte le truppe di terra Isaf che dovranno in maggioranza venir ritirate. Un esempio lo offrono le frontiere est di Nuristan e Kunar, dove s’estende una vasta riserva naturale. Queste sono difficilissime da pattugliare e lì imperversa un intenso contrabbando di armi, esplosivi e ovviamente di oppio, un’economia reale della sopravvivenza che coinvolge decine di migliaia di residenti. Come sanarla? Non ne parla nessun pretendente alla presidenza.

La macchina elettorale prosegue il suo corso, assicurato sul fronte organizzativo dagli aerei Nato che fanno spola per la distribuzione del materiale elettorale e dalle truppe di terra che, come cinque anni or sono, hanno predisposto un piano sicurezza gestito nei seggi dai soldati afghani. I talebani, che di fatto sostengono la non partecipazione al voto, non hanno finora compiuto azioni clamorose sebbene queste siano temute visto che gli attacchi ai militi locali proseguono, domenica a Kunar ne sono stati uccisi ventuno. Eppure di giovani disposti a vestire la divisa, più per necessità che per scelta, ce n’è molti e si va avanti così. Contestazioni sull’uso indebito di certo materiale compiuto dai candidati hanno già diffuso accuse a Ghani, reo d’aver trattenuto due veicoli blindati che servivano per spostarsi in sicurezza nel Paese. Il muscolare Sherzai si lamenta ufficialmente con Hamid Karzai per un diseguale piano di sicurezza che lo vedrebbe in pericolo. Alcune province sono ben presidiate, altre come Kandahar dove ha tenuto un recente comizio, a suo avviso non apparivano adeguatamente protette. Lo afferma mentre divulga anche lui mirabolanti promesse sulla sua presidenza che porterebbe a una pace duratura coi talebani. Sherzai tralascia i particolari su prerogative e conseguenze di questa pacificazione.

Altre violazioni della legge elettorale sono venute da: Sultanzoy (minacce a un cronista d’una tv privata), Sayyaf (trasporto di suoi manifesti su pick-up della polizia), Wardak (uso d’un insegnante e della sua scolaresca per pubblicizzare la sua candidatura). Tutte considerate delle bagatelle più che reati… Il ricorso all’urna produce comportamenti diversi fra i tradizionalisti estremi: Mohaqqiq, contestando le consultazioni, ha annunciato le dimissioni dalla Wolesi Jirga (la Camera bassa del Parlamento afghano), mentre le scuole religiose di Herat stanno appoggiando la candidatura di Sayyaf e il consiglio tribale Stanekzai sostengono Ghani. Invece ha definitivamente preso corpo il ventilato inciucio fra Qayum Karzai e Zalmai Rassoul. Nei giorni scorsi il fratello del presidente uscente aveva reso noto un accordo con l’avversario secondo il quale avrebbe fatto transitare i suoi voti sull’altra lista. Operazione che il Comitato Elettorale ha vietato e che aveva rimesso in marcia Qayum. Un percorso durato pochissimo. Sono giunti in contemporanea il suo ritiro dalla competizione e il sostegno (già vociferato) di Hamid a Rassoul. Questo diventa un competitore veramente corazzato incassando un secondo apporto dall’Alleanza della Shura Hezb-e-Islami, componente tradizionalista che con tale passo si distacca dal noto signore della guerra Hekmatyar.

Scelta, alleanza tattica? Bisognerà vedere. Certamente un politico come Rassoul, una delle figure filo occidentali presenti nell’attuale consultazione, dovrà onorare tali appoggi. Probabilmente proseguirà la pratica del doppio percorso già avviata dalla seconda amministrazione di Hamid Karzai. Stare con l’ovest e col fondamentalismo. Un terreno che mortifica le donne, i ceti poveri, la libertà, la sete di giustizia e l’emancipazione socio-politica del Paese.

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