Ali Beshar e Amr Darrag, leader (minori) della Fratellanza Musulmana rimasti
tuttora a piede libero, cercano un dialogo col governo egiziano in carica per
provare a risolvere l’impasse della crisi che attanaglia il Paese, e la
Confraternita stessa. Sollecitano colloqui anche coi militari, in controtendenza
alla linea esibita dall’ex presidente Mursi. Questi nell’esordio del processo a
suo carico d’inizio novembre, si era mostrato fermo e combattivo, ricusava la
Corte e ricordava ai golpisti d’essere il Capo della Repubblica spodestato
illecitamente. Voci tendenziose parlano di doppio passo d’una Fratellanza che
le sta provando tutte per rientrare sulla scena politica dalla quale è
emarginata e colpita, vivendo di fatto fuorilegge. Oltre duemila capi e quadri
intermedi dell’organizzazione sono detenuti con accuse diretta di omicidio o
morte provocata per istigazione alla violenza verso concittadini e forze
dell’ordine. E devono misurarsi con la repressione di strada e legale. Seppure
sia rientrato il coprifuoco che per mesi rendeva nelle ore serali deserte le
vie cittadine, il gran numero di tank e carri armati che continuano a stazionare
agli angoli delle strade (non solo nei punti strategici e sensibili) costituisce
una presenza tangibile e inquietante per i libertari e l’opposizione politica.
Non per il crescente numero di sostenitori di Al Sisi,
dipinto come l’uomo del destino in sintonìa con la tradizione presidenzial-militare
della nazione. La svolta muscolare delle Forze Armate tranquillizza anche gli
amanti della sicurezza a prescindere da qualsiasi panorama politico si
prospetti all’orizzonte. Del resto costoro avevano ben visto la stessa parentesi
securitaria di Mursi che, proprio un anno fa, cercò di contrastare con la
collaborazione dell’esercito le manifestazioni di dissenso al suo decreto
scoppiate nell’area di Ittahadiya
ed estesesi in altri punti della capitale e in numerose città. Fu quello
l’inizio della frattura che portò al Fronte di Salvezza Nazionale e al
precipitare degli eventi dello scorso giugno. Dopo golpe, arresti, massacri che
hanno svilito la Fratellanza e il suo braccio politico, il partito della
Libertà e Giustizia, il creato movimento di sostegno della legittimità
presidenziale che continua a scendere in strada mettendo a repentaglio
incolumità e vita sociale non sembra bastare al futuro del gruppo islamico. Da
qui il tentativo di rendez-vous che però, dall’attuale posizione di forza, l’Egitto
laico, tradizionale o progressista e soprattutto filo militarista, può decidere
di snobbare.
Sia perché non sarebbe vantaggioso prestare soccorso a
un avversario che versa in gravi difficoltà. Sia per le nuove aperture di
sostegno internazionale che hanno riportato i politici di Mosca a riaffacciarsi
sulle pur travagliate coste del Mediterraneo nord africane rilanciando nuovi
scenari di partenariato mondiale. Eppure anche ieri l’ennesimo uomo d’ordine è
rimasto vittima d’un agguato. E’ un agente dei Servizi ucciso sotto casa quasi
sicuramente perché indagava su adesioni a un gruppo jihadista e conseguenti
azioni. Nello scorso settembre il Cairo aveva conosciuto le bombe qaediste, a
ottobre nella regione del Delta del Nilo s’era verificato l’attentato mortale a
tre poliziotti. Far mancare ai giovani islamici egiziani un referente politico
moderato com’è la Brotherhood può centrifugare energie all’esterno, verso
quella galassia dell’Islam fondamentalista ben supportato dalle petromonarchie
del Golfo.
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