Una nuova esplosione a Beirut sud, stavolta nei pressi
dell’ambasciata iraniana, ha ucciso 18 persone. Il bilancio a metà mattina è
parziale perché si scava fra le macerie di alcuni edifici ampiamente lesionati
dalla deflagrazione. E’ il terzo attentato nell’area meridionale della
capitale, abitata prevalentemente dalla comunità sciita, dopo quelli del 9
luglio che produsse una cinquantina di feriti e del 15 agosto che fece 27
vittime. Non è ancora chiaro se il luogo sia stato colpito da due missili o da
un’auto-bomba come negli attentati estivi. Certamente nel mirino politico degli
attentatori c’è Hezbollah che nella recente celebrazione della festività
dell’Ashura aveva fatto sfilare i suoi attivisti fra la popolazione che
sostiene il Partito di Dio proprio per le strade di quel quartiere.
Nell’occasione il leader del gruppo Nasrallah aveva dato vita a uno dei suoi
vibranti comizi ribadendo l’amicizia e il sostegno al governo siriano di Asad, a
suo dire elemento fondamentale per la difesa della nazione libanese e per la
causa palestinese. Una riproposta della centralità del fronte della resistenza
su cui Hezbollah ha costruito la propria forza politica e il consenso fra la
locale comunità sciita.
Col conflitto interno nell’attigua Siria, che da due
anni divide il mondo arabo fra favorevoli e contrari al sostegno verso Asad, la
stessa solidarietà al blocco della resistenza s’è inclinata. In più il gruppo
sciita libanese subisce gli attacchi politici dei nemici di sempre come i
reazionari del Fronte Libanese che con Geagea accusano Hezbollah di falsificare
la realtà. Il vecchio leader nazionalista, sull’onda dell’isolamento degli
sciiti, cerca di portare sulle sue posizioni la maggioranza sunnita che negli
ultimi anni non ha saputo lanciare una propria figura carismatica. Infatti non è
bastato a Saad Hariri essere il figlio di Rafiq per guidare un Paese piccolo, però denso di problemi e contraddizioni. Il
suo biennio di premierato (2009-2011) è stato oscillante fra la prudenza e il
ricordo della grandeur paterna. Alle aperture a Hezbollah, che partecipò al suo
governo, seguì la crisi determinata dal riconoscimento del ‘Tribunale speciale’
che additava alcuni membri di quel partito quali organizzatori dell’attentato ad
Hariri senior. Il seguente esecutivo Mikati s’è trovato, e si trova, a gestire
la scottante situazione della guerra sul confine orientale, le ondate di
profughi seconde solo al numero di rifugiati in Turchia, oltre ai dissidi fra
il partiti interni che rispecchiano varie etnìe e confessioni presenti nel
Paese.
Avversari e nemici del partito di Nasrallah mirano a
scioglierne le milizie armate di cui si fa forte il gruppo sostenuto da
Teheran. E non a caso simbolico è il crocevia colpito dall’odierno attentato che
potrebbe avere matrice qaedista, ma anche israeliana. Nonostante la liberazione
il Mossad non è mai uscito da Beirut.
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