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giovedì 21 novembre 2013

Beirut, chi lavora per il terrore


Dentro e fuori il Libano tutti concordano nel condannare l’ennesimo attacco terroristico e nel deprecare un piano rivolto a irakizzarlo o farlo tornare all’instabilità del quindicennio di guerra civile. Sia le forze del Movimento per il Futuro sia il Partito di Dio sottolineano l’intento di attentare alla nazione, pur conoscendone fragilità e instabilità politica causate anche dal proprio settarismo. Egualmente le diplomazie di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti hanno lanciato l’allarme per il riaffacciarsi d’un pericoloso passato. Scoprire chi c’è dietro la catena di attentati non è affare semplice poiché spesso, pur di fronte alla certezza d’un attacco kamikaze oltre all’identità e ai contorni del combattente jihadista non si riesce ad andare. Quando invece a esplodere è un’auto-bomba l’artificiere può essere un militante, un agente dei Servizi interni o esterni. Lo stesso Paese obiettivo dell’esplosione di martedì scorso, l’Iran, e lo stato sostenitore di tanto jihadismo sparso per il mondo, l’Arabia Saudita, nel condannare l’azione criminosa affermano d’impegnarsi per combatterla e isolarla.
I due colossi dell’energia rivaleggiano da tempo nell’area mediorientale e cercano di stabilire una propria egemonia facendo pesare la loro forza economica e l’influenza su realtà politiche locali. I rispettivi rapporti con un vero partito combattente qual è Hezbollah e con personalità politiche inserite in movimenti politici, come quelli creati dalla famiglia Hariri, costituiscono un antico e consolidato trait-d’union che sempre rinnova sotto altre forme i suoi orizzonti. I quindici, venti anni seguiti alla fine della guerra civile libanese, e al ritiro delle truppe israeliane e siriane presenti in alcuni tratti del territorio, hanno offerto, e offrono, ghiotte occasioni di penetrazione di capitali e uomini che lavorano sul doppio binario d’una rinascita grazie agli “aiuti” saudita, iraniano e ovviamente statunitense, francese e d’altri ancora. E’ il noto e reiterato meccanismo della solidarietà interessata, della penetrazione neocoloniale tramite strutture di servizio che creano consenso interno e controllo internazionale. Questo meccanismo generalmente necessita di pace e convivenza civile. Ma non sempre, visti i bisogni generati dalle guerre.
L’Alto Consiglio della Difesa libanese parla di “tentativo terrorista di seminare conflitti” ma gli serve capire se questo sia uno spostamento su un territorio attiguo delle azioni distruttive che coinvolgono da trenta mesi la Siria o sia una diversificazione dei piani qaedisti d’infuocare il Medio Oriente in più zone. C’è chi fa notare come l’attentato sia stato immediatamente seguente alla prova di forza voluta dal leader del Partito di Dio Nasrallah a sostegno del governo amico di Asad. Se così fosse un’azione di quella portata (di cui le foto mostrano i devastanti effetti) non s’improvvisa in quattro giorni in un’area (Ghobeiri-Jnah) che rappresenta una delle roccaforti di Hezbollah, doveva essere stata progettata da tempo. E’ il pensiero che assilla il deputato sciita Naim Qassem che ha dichiarato come simili attacchi potranno ripetersi. Ma a compierli sono davvero le brigate Azzam del jihadismo sunnita oppure sono penetrati o sorti anche in Libano gruppi takfiristi? Alcuni benestanti sauditi sostengono questa corrente confessionale minoritaria sunnita che si scaglia soprattutto contro altri islamici e ha compiuto più d’un attentato suicida in Siria.
Alcuni esperti ritengono che simili gruppuscoli possono essere magnificamente infiltrati dalle Intelligence (il Mossad è sempre in prima linea) seppure i martiri da far esplodere vengano reclutati fra gli strati poveri della popolazione o fra credenti particolarmente fanatici.   L’irakizzazione, invece, viaggia fra l’intento di terrorizzare e bloccare l’attività della popolazione spinta a fa poche cose pensando soprattutto di salvare la pelle, e quello d’impedire una coabitazione politica pluriconfessionale e multietnica. Quella che regge il Libano fuoriuscito dal conflitto civile, il cui sistema s’era cercato di riproporre a Baghdad ed è ormai da due anni sotto attacco qaedista e non solo. 

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