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sabato 16 novembre 2013

Nichi, amorevoli risate


La vergogna del politico dei “comizi d’amore” non sta solo nelle risatine filo padronali, ma nell’amore per una certa politica. Quella che nella migliore tradizione del suo mentore Bertinotti (prima della ritarata strategica sul maggiore scranno di Montecitorio) conduceva e conduce taluni “compagnucci” a occupare poltrone. Dalle assai remunerative delle istituzioni più prestigiose di Senato e Camera fino alle amministrazioni locali dove per circa un ventennio - coincidente guarda caso col berlusconismo - anche a sinistra ha circolato l’incantevole ideale del carrierismo politico. E quali carriere! Copiose entrate per soggetti con pochissima arte e perfettamente nella parte di rappresentante del popolo, nelle versioni truffaldine contrassegnate da ogni colore politico e pure da un rossastro Sole dell’Avvenir. Il proprio. Il bell’esempio ai colleghi liberi e sinistri, i cui emolumenti arrivano anche nelle più sperdute giunte comunali e nei consigli circoscrizionali delle metropoli l’offre il Governatore della Puglia. Munifica carica attuale, a meno di razzenti dimissioni, del leader di Sel dove la e dell’acronimo sta per ecologia. Un perverso senso di coerenza: proprio quell’ecologia (e quella salute) calpestate dai signori Riva e Archinà con cui il presidente Vendola intratteneva ridanciani rapporti.
Relazioni certamente di rappresentanza per la funzione pubblica della carica ricoperta, che non gli vieta però di sorridere e apprezzare le provocazioni con cui il clan dell’acciaio svicola di fronte alle domande scomode d’un giornalista, definito dal clan un provocatore. Dà metaforicamente di gomito il Nichi nazionale, si compiace del “guizzo felino” del portavoce dell’Ilva. Ora, tanato, prova vergogna, ma solo “un po’, perché io non rido dei tumori, so cosa significhi il dolore e non permetterò a nessuno di sollevare dubbi sulla mia onestà intellettuale e manipolare la realtà in maniera strumentale e volgare”. Lo scivolone telefonico ribadisce la logica della doppiezza della sinistra parolaia di cui Vendola, diversamente dai banali epigoni, è un esponente di rango. Le sue parole pescano dal dizionario vocaboli forbiti, cavalcano metafore immaginifiche, puntano a suscitare sentimento per sollevare i cuori. Peccato che anni di presenza politica sono lì a testimoniare come sostantivi e aggettivi muovano solo l’aria, non gli ideali. E se qualche sogno traspare viene immolato sull’altare di accordi, interessi, servizi ben lontani da quanto enunciato e promesso. E’ la coazione a ripetere con cui questa sinistra occupa spazi per sé e per i suoi affarucci, ovviamente limitati rispetto al Bingo cui accede il fratello maggiore, si sia chiamato Ds, Pd o quel che ne sarà d’un partito che partorisce lettiani, renziani ed esemplari per nulla differenti. Sono gli operai dell’Ilva e le non poche figure sociali martoriati dai governi nostrani e da certi servili cantastorie a dover guardare altrove, agendo come già iniziano a fare.

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