Sulla vita delle donne, sottoposta alle pietre d’una
nuova lapidazione per adulterio, Hamid Karzai lavora per una successione nel
segno dell’oscurantismo. E’ di queste ore la notizia che il ministero della
Giustizia afghano prende in esame una bozza di riforma del codice penale che
prevede la reitroduzione della lapidazione (come nel quadriennio talebano)
allargando la condanna capitale anche all’uomo reo. Il direttore dell’ufficio
legislativo ha già difeso la proposta trovandola, a suo dire, consona ai
dettami della Shari’a. Le
associazioni umanitarie sono insorte lanciando un appello alle massime cariche
afghane per fermare la misura criminale. Peccato che molte di queste autorità
(i vicepresidenti della Repubblica Islamica Khalili e Fahim sono noti signori
della guerra vicini alle posizioni fondamentaliste più intransigenti), mentre
Hamid Karzai sta da tempo preparando un ricambio politico avvicinando i settori
più retrivi delle etnìe afghane. Una recente operazione l’ha visto protagonista
del patto col presidente statunitense Obama, denominato “Bilateral security
agreement”, che è stato irritualmente sottoposto al vaglio della Loya Jirga.
Ogni sponda diventa buona per gli interessi personali
del presidente uscente, in barba al suo presunto ruolo democratico di cui parla
esclusivamente la propaganda occidentale. Una delle manipolazioni più dolorose
per le donne delle 34 province afghane è proprio la patente di reale rappresentatività
dei bisogni della popolazione, offerta a diverse figure femminili introdotte in
Parlamento sull’onda della “democratizzazione”. Sul tema la denuncia di Rawa è
tranciante. Le deputate: Amina Afzali, Hassan Bano Ghazanfar, Massouda Jalal, Shukria Barakzai, Noorzia Atmar, Fouzia Kofi e altre colleghe presenti nella
Wolesi Jirga “sono legate ai brutali
signori della guerra” e si fanno portavoce di istanze reazionarie e
antifemminili subdolamente sostenute nelle sedi istituzionali. Oltre
all’abominio della punizione per lapidazione, è in corso una meticolosa
disarticolazione dei diritti femminili presenti nella Carta Costituzionale.
Anche la buona legge che difende l’incolumità femminile, esistente ma mai
applicata, potrebbe sparire definitivamente.
In occasione della settimana contro la violenza sulle donne la nostra
Camera dei Deputati ospita un convegno dal titolo “Afghanistan 2014, anno di
svolta: bilancio e prospettive per le donne afghane” (giovedì 28 novembre,
Palazzo di Montecitorio, ore 14:30-18:30). In quest’assise, dov’è attesa anche
il ministro degli Esteri italiano Emma Bonino, sarà presente una delle
contestatissime parlamentari afghane citate: Shukria Barakzai, di cui le
attiviste di Rawa offrono le seguenti informazioni. Nel 2005 Barakzai e il marito
Abdul Ghafar Daw provarono l’ingresso in politica. Lei riuscì nell’intento, lui
non venne eletto. Il consorte si piazzò brillantemente nell’affarismo
nazionale, entrando nel Gotha dirigente della Kabul Bank che ha controllato per
anni gran parte del traffico finanziario interno col benestare della comunità
internazionale. L’istituto di credito, però, risultava la cassa di riferimento
della mafia locale e nel 2010 venne travolto da un crack finanziario con la
perdita di centinaia di milioni di dollari. Daw ne fu coinvolto insieme ad altri
dirigenti, uno è il fratello di Karzai e
l’inchiesta raggiunse lo stesso vice presidente della Repubblica Fahim. Fra gli
affari personali, procurati a Daw dalle coperture politiche di famiglia, nel
2006 c’era stata una sorta di monopolio del rifornimento di carburante per
dieci aeroporti afghani.
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