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martedì 26 novembre 2013

Afghanistan, cosa si cela dietro l’Accordo bilaterale sulla sicurezza



Recentemente la senatrice afghana Belquis Roshan ha innalzato un cartello di protesta nell’assemblea della Loya Jirga e per questo è stata espulsa dalla sala. Il cartello faceva riferimento al patto appena firmato da Karzai e Obama denominato “Bilateral security agreement” (Bsa), che secondo la parlamentare dell’opposizione “svende ulteriormente l’Afghanistan”. Cosa sia il Bsa è presto detto. Un accordo che garantisce agli Stati Uniti di conservare e ampliare basi militari sul territorio afghano. Alcune sono centrali note (Bagram a est, Shindand a ovest, Kandahar nel sud) più altre di nuova costruzione. Queste strutture non si occupano affatto della sicurezza afghana: lì non s’addestrano truppe locali né ci si prepara a combattere i talebani. Sono e saranno basi logistiche dove una parte dei reparti americani che rimarranno, nonostante il ritiro previsto per il 2014 (si calcolano 10-12.000 unità), organizzano possibili operazioni offensive condotte con caccia pilotati e droni senza aviatore. Contro chi? Tutti e nessuno, intanto  è garantita la presenza. 
Agli “alleati” statunitensi preme conservare nel cuore dell’Asia un controllo militare d’un territorio strategico per gli equilibri mondiali. Rispetto ai presidi sul Golfo Arabico, quelli afghani riescono a tutelare la strategia yankee verso le potenze russa, cinese e pure indiana. Su tali acquartieramenti l’Afghanistan non potrà far pesare nessuna sovranità, perciò la senatrice Roshan non è rimasta seduta passivamente sullo scranno, obbediente e prostrata come la maggioranza dei parlamentari presenti all’Assemblea degli anziani. S’è prodotta nella clamorosa protesta, sottolineando l’ennesima saldo offerto a Washington. L’azione assume un valore non solo simbolico, punta a smascherare la furbesca manovra del presidente Karzai che per far ratificare l’accordo firmato ha riunito la Loya Jirga, un’assemblea che non ha il potere legislativo dei due rami del Parlamento. Essa non raccoglie solo i deputati ma figure tribali e claniste del panorama etnico nazionale. La Loya Jirga è, comunque, funzionale al sistema delle tradizioni e l’intento di Karzai è ottenere il benestare della grossa comunità pashtun, alla quale appartiene e alla quale sono legati anche vari signori della guerra.

Il passo può servire nella trattativa coi talebani, da cui il presidente si è ultimamente sfilato. I talib hanno sempre chiesto un totale ritiro della presenza armata straniera dal territorio afghano. Stessa cosa pensano e vogliono warlord che si chiamano Hekmatyar e Sayyaf, molto vicini alle posizioni fondamentaliste dei turbanti. Hamid Karzai sul tema della sicurezza nazionale si sta giocando un bel pezzo della campagna elettorale del fratello Qayum. Che gli fa da prestanome per un ruolo che lui non può ricoprire con un terzo mandato, ma che cerca di garantirsi dietro le quinte, barattando con gli amati e odiati amici statunitensi. Karzai agirebbe per interposta persona, appartenente ovviamente al clan familiare, uno dei più potenti del Paese, ma nient’affatto l’unico. In queste settimane vecchie boss locali misurano, smontano e ricompongono alleanze in funzione di quella che sarà la nazione di domani. E oltre a un Abdullah, ex ministro degli Esteri, già candidato alla presidenza nel 2009 che denunciò i brogli dell’uscente Capo di Stato e che medita vendetta, ci sono vicepresidenti finora in affari con Karzai (Fahim) pronti a voltargli le spalle. Oltre a nuovi volti di cui parleremo.

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