Fanno più effetto le fitte e perfette file di divise multicolori che percorrono a passo marziale la piazza Tienanmen oppure lo scorrere iper armato di ordigni nucleari (DongFeng-61, JL1 Fulmine), i missili antinave supersonici, i carri e i droni, al cospetto di cittadini estasiati e orgogliosi più del regista e padrone dell’intero spettacolo di grandiosa grandezza dell’Oriente più evoluto? Entrambi. Ma la seconda voce si trascina a suo conforto l’effettiva capacità di questa potenza che è esibizione di tecnologia. L’odierna Cina antioccidentale, anche perché un certo Occidente la stuzzica e continua a bistrattarla, sta raggiungendo quello status per cui gli imperi s’innalzano e s’impongono: la tecnica creata e applicata. La padroneggia ovunque, e ora che ne mostra gli effetti anche nell’antico mestiere delle armi, su cui i nemici storici, nipponici e statunitensi, avevano la meglio diviene lo spettro da cui difendersi. In realtà è più d’un ventennio che l’ora ics è attesa da politologi e analisti economici, ma chi pratica gli effetti di queste materie, che per il dominio del mondo sono accampate fra la Casa Bianca, il Pentagono e Wall Street, dunque dai tempi di Bush junior, passando per Obama, Trump, i generali e i finanzieri posti ai vertici di quegli organismi, ha nicchiato facendo finta che il Dragone esistesse solo nei brutti sogni. Certo, ancora oggi che uno Xi Jinping vestito da Mao Tse Dong si bea sul palco godendosi la propria Pace Celeste, le classifiche del Pil globale mettono gli affari statunitensi davanti a tutti, coi propri sei trilioni di dollari di vantaggio a trainare il carro capitalistico del pianeta. Ancora oggi JB Morgan e Bank of America primeggiano in tutte le Borse, anche in quelle asiatiche di Shanghai e Singapore. Però non durerà. Lo dicono gli advisors di Manhattan, e le statistiche dei numeri che pongono sempre più studenti cinesi (e indiani) nelle università del mondo e conseguentemente negli organismi della ricerca tecnologica e poi della finanza internazionali, così da scavare spazi per la trasformazione della supremazia e creare sorpassi. La demografia presenta il conto quando s’accompagna a pianificazioni statali, e in questo lo statalismo postcomunista in salsa capitalistica punta a fare Bingo, con la soddisfazione nell’iperuranio dell’uomo che alla scomparsa del grande Timoniere tirava la volata a simili soluzioni, Deng Xiaoping.
Forse l’ex “capo architetto” della riforma economica cinese, solo approssimandosi alla dipartita terrena subodorava che il grande balzo avrebbe aperto scenari catastrofici per il cosiddetto Vecchio Mondo, ma chi osservava da un mondo egualmente antico e compassato aveva tutto il tempo di attendere sulla sponda del fiume il passaggio di cadaveri. Capitalismo di Stato, mix di statalismo e privatizzazione, controllo socialista del capitalismo, capitalismo collettivistico burocratico, le definizioni d’un orizzonte socio-economico fino a mezzo secolo addietro sconosciuto si sono sprecate in questi anni. Fra l’altro i tratti sono in divenire e sono mutati dal 1980 ai giorni nostri, con tanto di tratti d’indicibile profitto, corruzione, criminalità speculari alle peggiori storie delle fortune (capitalistiche) indissolubilmente legate al crimine, come ricordava il Balzac di Papà Goriot, perché certi vizi non hanno latitudini geografiche e possono riprodursi ovunque. Ma non sono tali righe una disamina sul dna cinese, non ne avrebbero le competenze che illustri studiosi di sistemi economici realizzano da tempo, proponendo distinguo e contraddizioni di questo Paese, idealizzato prima e dopo il Sessantotto per marxismo-leninismo allo stato puro, con comuni agricole, studenti-operai, ore di studio e lavoro a forgiare una nuova gioventù per una società migliore, comprensiva di ‘rivoluzione culturale’ e Rivoluzione con la maiuscola. Del cambio di passo di Deng, s’è ricordato, e si può pure rammentare la Tienanmen della rivolta studentesca dell’Ottantanove - rivoluzionaria? borghese? - la cortina dell’epoca ne discorreva poco. A Occidente s’insinuava, s’ipotizzava, dall’interno un Deng matusa celava tutto, soprattutto le vittime d’una repressione protratta nel tempo. Fu l’ultimo anelito d’una Cina ideologica e ideale? Forse. L’immagine dei Novanta e molto oltre è data dalle impattanti China National Petroleum Corporation, Sinopec, China State Construction Engeneering attive, attivissime ed efficaci sulle piazze mondiali, accusate d’impossessarsi dei tesori dell’altrui sottosuolo in Africa, Asia, Sudamerica. Accusate da chi? dalla concorrenza che pratica il medesimo scippo dall’epoca del colonialismo seicentesco. Nel pieno rilancio dei blocchi commerciali, geopolitici, geo militari, imperi invecchiati e innovati si confrontano, proponendo adesioni. Con uno spazio per le utopie scarso o nullo; i sistemi forti s’espongono per imporsi, gli altri osservano più o meno persi o angosciati.