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lunedì 11 novembre 2024

Erdoğan-Bahçeli, contrasto sui sindaci Dem

 


La recente guerra ai sindaci voluta dal governo di Ankara, che sta indagando su 37 comuni guidati da esponenti del Partito filo kurdo Dem (terzo partito al Meclisi con 57 deputati) per sostituirli con commissari statali, mette sotto pressione la ferrea alleanza fra Erdoğan e Bahçeli su cui l’esecutivo si regge. A ottobre l’anziano ma tuttora inamovibile esponente del Partito nazionalista (Mhp) aveva lanciato l’apertura rivolta al movimento kurdo e all’illustre leader incarcerato Öcalan per riavviare i dialoghi interrottisi un decennio or sono. Al centro di auspicabili colloqui concessioni di autonomia locale ai kurdi, agognate e proposte dallo stesso recluso dell’isola prigione di İmrali, in cambio dell’abbandono della lotta armata, su cui il capo storico del Pkk aveva annuito e che invece è stata sempre disapprovata dalla direzione del movimento arroccata sui monti di Qandil. Per settimane il possibilismo restava nell’aria, con Bahçeli che interveniva perché venisse interrotto l’isolamento totale subìto negli ultimi quattro anni da Öcalan cosicché potesse ricevere la visita d’un nipote, quindi la recente difesa del sindaco di Mardin Ahmet Turk da investire del ruolo di mediatore nel confronto con Öcalan. Il partito Dem, ultima versione di precedenti sigle costrette allo scioglimento poiché accusate di fiancheggiare il gruppo armato kurdo, ha sempre negato e continua a rigettare tale accusa. Che però non gli vale un diverso trattamento soprattutto da parte degli esponenti dell’Akp, lanciato dal 2015 in uno scontro aperto con ogni componente politica kurda e con la stessa cittadinanza dell’est del Paese. Nel corso dei passi attuati da Bahçeli il presidente turco era rimasto silenzioso a osservare, ma a seguito dell’iniziativa in corso contro gli amministratori locali ha dichiarato: "Non possiamo chiudere un occhio sull'organizzazione terroristica che ha istituito meccanismi di estorsione attraverso il potere municipale", un avallo dell’attacco all’investitura popolare ricevuta dai sindaci con le elezioni. Non è solo il responsabile per l’Asia centrale di Human Rights Watch a sostenere che “negare a centinaia di migliaia di cittadini i rappresentanti eletti del governo locale, sostituendoli con funzionari nominati dall’alto, mina il processo democratico e viola il diritto a libere elezioni”, l’alleato di ferro Bahçeli sul tema afferma che un sindaco come Turk, politico navigato utile per l’approccio diplomatico con Öcalan, non deve essere rimosso. Del resto certe imposizioni dall’alto hanno solo inasprito le relazioni, senza far recedere la popolazione dal voto verso i propri rappresentanti etnici, riconfermati e spesso rafforzati a ogni consultazione locale. Nel biennio 2016-17 furono sostituiti gli eletti in 94 comuni. Nel 2019 i fiduciari governativi hanno rimpiazzato gli eletti dell’allora Hdp in 48 municipi su 65. Con l’ultima denominazione il Partito Democratico dei Popoli continua a eleggere suoi esponenti, piaccia o meno al governo centrale.

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