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mercoledì 10 luglio 2024

Anniversario Nato, ospedali bombardati, informazione

 


Basterebbe ricordare. Gli operatori dell’informazione, i colleghi dovrebbero farlo. Invece… In tanti casi è l’Editore a porre il veto o aggirare la notizia, ridurla nel pallino cartaceo oppure citarla a fine notiziario, quasi si trattasse di una nota di colore, d’un gossip. Correttamente le aperture di queste ore sono rivolte alla strage nell’ospedale pediatrico di Kiev, colpito da un missile da crociera KH101 sparato, secondo fonti occidentali, dalla Federazione Russa, mentre il portavoce del Cremlino parla di messa in scena ucraina. Restano la conta delle vittime, oltre quaranta fra cui bambini in cura nei reparti oncologici resi inservibili, le immagini della devastazione, l’orrore d’un conflitto che chi piange e biasima vuole proseguire per ricambiare terrore all’aggressore. Eppure nelle recenti devastazioni della Striscia di Gaza gli ospedali rasi al suolo, disintegrando attrezzature e chi ne fruiva, sono più di venti. Forse venticinque, i dati sfuggono così come le vittime, il cui conto è attorno alle quarantamila, e c’è chi ne calcola molte di più. Se ne parla? Sì, se ne parla. Forse non abbastanza se chi è ancora vivo fra i cronisti palestinesi, che pagano un tributo altissimo alla propria controinformazione avendo visto uccidere centotrenta di loro, critica i racconti del giornalismo americano ed europeo. In troppi casi un racconto di parte e lo schieramento è filo israeliano, visto che al più le critiche possono scivolare sull’attuale governo di Tel Aviv, sul leader Netanyahu, ma non devono sfiorare la politica militarista e colonizzatrice di Israele dal momento della sua nascita perché questo è giudicato antisemita. Mentre le Nazioni Unite proseguono le giuste, giustissime, accuse su svariati crimini di guerra in atto, che se non arrivano a fermare i criminali bellici, restano denunce sterili, la Nato festeggia se stessa. La sua ingombrante boria, foriera di pace e democrazia, si trascina dietro conflitti mascherati da “missioni internazionali” infarcite di motivazioni: umanitarie, di polizia internazionale, stabilizzazione, interposizione, di fatto mai neutrali e sempre rivolte ad avversari di comodo. 

 

Nel corso di queste missioni crimini contro l’umanità sono stati perpetrati e seppelliti, prim’ancora dei cadaveri innocenti che hanno provocato. Inizi d’un caldo ottobre 2015, Kunduz, circa trecento chilometri a nord di Kabul, verso il confine afghano col Tajikistan. Un bombardiere statunitense della Nato sorvola il capoluogo e punta sull’ospedale di Medici senza Frontiere. E’ da poco scoccata  l’una e trenta di notte. Preoccupato il responsabile della struttura telefona ripetutamente agli uffici amministrativi locali, e anche agli apparati militari Nato a Kabul. Costoro conoscono la dislocazione delle strutture sanitarie e il lavoro degli operatori rivolto alla popolazione. Il medico lo ribadisce successivamente quando si cercò, senza esiti, di organizzare una commissione d’inchiesta sull’accaduto. L’accaduto fu una strage: mezz’ora di sorvolo sul nosocomio, a ogni passaggio un missile. Non uno, una gragnuola. Più di venti vittime, di cui nove fra medici e infermieri, cinquanta feriti, in venti restarono fortunatamente illesi. In seguito non accadde nulla. Poca stampa ne parlò. Quella italiana pochissimo. L’informazione pubblica neppure citava gli eventi, il ministro degli Esteri Gentiloni per il governo Renzi, prendeva per buone le direttive di Washington che a un certo punto sostenne la tesi dell’errore con conseguente “danno collaterale”. Quindi un dispaccio della Nato giustificava l’attacco, sostenendo che l’ospedale fosse un rifugio per i talebani, stesso refrain con cui Israel Defence Forces afferma che gli ospedali rasi al suolo nella Striscia sono delle caserme di Hamas. E tratta chi è ricoverato come un miliziano, ovviamente da colpire. A Kunduz c’erano madri e bambini, come nel centro pediatrico Okhmatdyt. Buona parte dell’informazione sceglieva di non parlarne, per non disturbare Resolute Support una delle varie sigle con cui la Nato occupò l’Afghanistan, spargendo sangue, gettando al vento denaro, sostenendo governi-fantoccio corrotti, patteggiando alfine coi talebani un futuro sulla pelle d’un popolo disprezzato, buono solo per l’ennesimo proprio ‘Grande gioco’ di guerra. Che, ahinoi, continua.

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