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venerdì 9 dicembre 2022

Iran, il trionfo della morte

 

Se il potere della Repubblica islamica iraniana s’oscura a tal punto da decretare il trionfo della morte come condizione necessaria per la propria esistenza, quel potere potrebbe aver intonato il suo canto funebre. Un canto che, purtroppo, rischia di tracciare una via di sangue più lunga e copiosa delle vittime di tre mesi di repressione, anche per l’uso della violenza di Stato tramite pena di morte. Quella che ha eliminato Mohsen Shekari, reo di aver pugnalato alle spalle un basij, senza però ucciderlo. Il concetto applicato riguarda non l’effetto ma il presupposto, la ‘lesa maestà’, se la stessa condanna capitale sfiora Fahimeh Karimi, accusata d’aver sferrato un calcio (sic) a un agente. Egualmente rischiano la forca giovani, anche minorenni, mobilitati settimana dopo settimana, a urlare e pure a incendiare. Qualcuno a uccidere. Dei duecento o quattrocento martiri nei tumulti, le forze dell’odine lamentano trenta decessi fra poliziotti e paramilitari, quelli che con moto, caschi integrali, manganelli, taser e armi proprie hanno arrestato, pestato, ammazzato manifestanti. Punendoli, come affermano testimonianze raccolte da Human Rights Watch, con fucili ad aria compressa per privarli della vista e creargli menomazioni fisiche. Lo scontro di strada, impari, fra chi impugna le armi negli apparati del regime, e chi s’arrangia come può, non ha conosciuto finora le conseguenze estreme. Quella guerra civile, palese e latente, che i mesi successivi alla conquista del potere della rivolta anti-Shah avviarono e accrebbero. Da lì è nata la generazione adepta del khomeinismo e delle sue derive ideologico-teologiche, cementate da terribili conflittualità interne, guerre esterne, stabilizzazione nell’instabilità internazionale che si è tirata addosso chi ha voluto e sostenuto questa rivoluzione antiamericana e antimperialista. 

 


Da quegli iraniani che hanno fatto della militanza un corpo, i Guardiani della Rivoluzione, capace di vivere senza timore delle conseguenze del proprio corpo, né di gettare sangue come nel rito dell’Ashura, scaturisce non solo un modello, secondo i punti di vista, di coerenza o fanatismo, ma una realtà radicata nel presente politico, parzialmente teologico e molto più di potere economico, personale e d’élite. Fior d’intellettuali sostengono che è in corso una lotta esistenziale fra i conservatori della tradizione dell’ultimo quarantennio del Paese che fu un impero esso stesso, e la nuova gioventù che fa dell’arte, dell’espressività, dei diritti di genere e non solo, la ragione di vita. Chi è di casa in Iran e non lo legge esclusivamente con l’occhio dissidente esterno, racconta anche il fascino per un mercato non tanto dei bazari, ma di quella stessa mercanzia, tecnologica e non, che l’Occidente nega coi suoi embarghi. Fascino non certo peccaminoso, perché così fan tutti al mondo. Però questa nazione è mantenuta ai margini del mondo per volere degli ayatollah e dei loro nemici. A farne le spese una maggioranza di persone vessata finanziariamente, i giovani più dei padri, le ragazze il doppio in quanto giovani e come donne, ben poco amate da qualunque potere, non solo talebano. Se, come afferma un’arrestata: “non potranno ucciderci tutte” e se addirittura Badri Hosseini Khamenei, si dice “vicina a tutte le madri che piangono i crimini commessi dal regime”, e lontana, lontanissima dall’autorità del fratello che da trent’anni decreta quel che è giusto e consono fare secondo la legge islamica, il futuro è delle piazze ribelli. Ma potranno i basij scegliere di baciare le proprie donne, normalmente, in pubblico? Potranno i pasdaran rinunciare al potere che incarnano come e più della Guida Suprema? Se tale svolta di riconversione e avvicinamento fra i due volti dell’Iran, che poi ne ha assai di più, non avverrà presto, la strada dello scontro civile e incivile prenderà  piede. Con quello che si vede altrove può diventare lungo e sanguinosissimo, in attesa del trapasso umano di Khamenei, della fuga dei vertici del regime (a Caracas?), d’un futuro che se dovesse somigliare al passato potrebbe trovare volti altrettanto insanguinati dei nostalgici di dinastie e della Savak.

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